I MIEI DIALOGHI CON GIOVAMBATTISTA VICO. CORSI E RIMPALLI STORICI - 2011



Il mio ultimo sabato sera l’ho passato a Vatolla, all’interno di Palazzo
Vargas. “Vieni, ti conferiamo un premio speciale”, tre giorni prima mi chiama
Lorenzo Barone, un collega agropolese. “Onoriamo la memoria di Giovanni
Farzati. Ti abbiamo assegnato targa e pergamena per la carriera”. Io sono
ancora giovane e poi la carriera dov’è?, ribatto. Siccome alla vanità non si
fugge… un’ora d’auto ed eccomi qui nel maniero dove Vico filosofeggiò alla
grande. Farzati: sindaco di Perdifumo e avvocato prestigioso. Lo conobbi nel
1993, mi diede notizie del passaggio cilentano di Ettore Majorana. Le grandi
lapidi murate sulla facciata del castello, al colto e all’inclita raccontano
che ci visse, dal 1686 al 1695, il grande pensatore napoletano. Arrivò che non
era neanche un paglietta fatto ma un avvocatino, uno dei tanti, senza soldi e
pure mezzo tisico. Lo portò un vescovo – colpito dal sapere e dalla sua
seriosità ed austerità – che cercava un precettore per i quattro figli di suo
fratello che abitavano ai confini del mondo. A Vatolla. Vico restò per nove
anni e più che far studiare i nipoti del prelato, studiava lui. I libri li
prendeva nella biblioteca del vicino convento della Pietà e andava a
leggerseli all’ombra del grande ulivo che è ancora lì. Scandagliava i
labirinti del pensiero e cercava risposte alle solite domande difficili. A
Giulia Rocca, la bella allieva di cui era segretamente innamorato, dedicava
versi difficili che lei diceva di non capire. “Non fu solo “L’aria purissima”
di Vatolla che guarì i tuoi polmoni malati. “La Scienza Nuova”, il monumento
del tuo pensiero, nacque sotto la spinta dell’amore per la bella guagliona
cilentana. Quando Giulia andò via, sposando un giovane rampollo di Omignano,
tosto a soldi terre ed animali, tu filosofo alla pari parco mangiare spartano
alloggio e paga di pochi soldi ci rimanesti male male. Te ne tornasti a
Napoli, dove le “Giulie”, come poi fu per quelle dell’Alfa Romeo, erano tante
di più”. Queste avventure – che mi racconto da solo- durante l’ascolto dei
discorsi ed i versi declamati, durante la mesta cerimonia, da volenterosi
poeti. Accanto c’è la nuova biblioteca vichiana, è nei pressi che sosto, penso
che anch’io ho vissuto per decenni, “in un castello ai confini del mondo”,
nella mia Altavilla – Macondo, alle prese con più d’una “Giulia Rocca”, per le
quali non ho scritto poesie e mal me ne incolse, che quelle poi mi lasciavano
per “giovani rampolli”, anche stranieri ma mai di Omignano. Dalla sala
principale mi chiamano in scena, ed “esco” dal mio film. Davanti al microfono
enuncio un discorso di ringraziamento, per “il premio”, che faceva quasi
piangere. Corsi e ricorsi storici: solo io, Giulia Rocca e Giambattista Vico
sapevamo a cosa s’era rimuginato nella lunga serata al Castello
Vargas!.
Oreste Mottola

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