BORGO CARILLIA. Il Mezzogiorno moderno è stato sperimentato qui

 

 


Franco Benedetto: racconto per immagini  per capire chi siamo


Carillia. Di là dal fiume e tra gli alberi. Oltre quei ponti che ingegnosi architetti ed operose maestranze costruivano ed il fiume si riprendeva. Svaghi di caccia ed agricoltura, pesca nei fiumi e sollazzi d’amore, poi fatica in fabbriche che davano occupazione a migliaia di operai cilentani e della Piana. Siamo oltre Eboli e prima del Cilento. Tra aristocratici e briganti che dimoravano nella vicina Persano. Ancora si agitano gli spiriti di Tranchella e della sua compagna. I suoi briganti che dopo la sconfitta si vendono per poco, fanno i nomi dei complici, ma in carcere acquistano una cultura. Pochi sono i luoghi del Sele e del Cilento dove ci si è incontrati e mischiati come qui. Per ultimo toccò a pecorai che venivano da Piaggine a agli ebolitani del popolo minuto.

PASTORI, ARISTOCRATICI, BRIGANTI E OPERAI. POI I CONTADINI. Singolare incrocio di fiumi, genti, culture e pianure. “Dobbiamo fermarci per capire innanzitutto chi siamo”, racconta Franco Benedetto che gestisce uno dei bar locali e colleziona foto della sua borgata. Attraverso le immagini tenta di ridare un’anima a una realtà che è sempre stata assai multiforme. Si fatica a mantenere uffici e scuole autonomi da un capoluogo, Altavilla, che è più lontano di Eboli o Battipaglia. Verso Eboli o Battipaglia poi qui sono naturalmente protesi. I tanti i nomi raccontano quello che si è stato: Persano, Scanno, Feo, Saim e poi Borgo Carillia. L’ultimo nome venne dai maestri elementari che popolavano il consiglio comunale altavillese degli inizi degli anni Sessanta. Qui è sempre stata frontiera. Negli anni Trenta di uno degli esperimenti agroindustriali più avanzati del mezzogiorno d’Italia. Luogo scelto, non a caso, dalle menti salernitane del “circolo Farina” per i loro esperimenti. Angelo Adinolfi è stato direttore della sede dell’Ense (l’ente sementiero italiano) e funzionario dell’Unione Europea. La sua famiglia, originaria dei dintorni di Salerno, di agricoltori colti e tecnicamente capaci, fu una di quelle che – agli inizi del 1930 - monsignor Farina e Carmine De Martino, teste pensanti della politica economica fascista, vollero diffondere nella Piana del Sele e a Altavilla Silentina. Era la nuova frontiera della Campania. Vennero a Borgo Carillia, gli Adinolfi. Passarono dalla gestione di un ristorante nel centro storico di Salerno a questi campi. Abitavano a Eboli e lavoravano a Carillia.

OLTRE LA SAIMA.
Alla “Saima” c’era tutto: fabbrica con migliaia di operai (provate a immaginarli oggi), un ippodromo per le corse dei cavalli, e al Feo (più o meno dove oggi c’è La Contadina) coesistevano una chiesa piena di fedeli per effetto delle apparizioni mariane di fine secolo e un accenno di mondanità con un boschetto dove un lungo percorso culminava in un chiosco dove, soprattutto agli ufficiali di Persano e alle ragazze figlie dei dirigenti delle fabbriche, era possibile consumare varie bibite e aperitivi. E, d’estate, tanti meloni di Altavilla. Quando la Saim, fabbriche, era più potente dello Stato italiano e la bilancia dei pagamenti era “raddrizzata” dalle imponenti coltivazioni di tabacco della Piana del Sele e dagli opifici che lo trasformavano in sigarette e sigari. Poi venne la guerra e poi il mondo occidentale smise di fumare. La terra venne divisa tra i contadini. E gli americani, che si erano già esercitati con il New Deal nel Tennessee, vennero a spiegarci come fare. Il meglio, lo fecero dei tecnici settentrionali che quelle tecniche le avevano imparate. Cinema, calcio, cooperative per arare con i trattori e per trasformare i prodotti agricoli. Il socialismo reale, ma dal volto umano, lo videro qui. Uno di loro, Bottazzoli, repubblicano , lo ricordano ancora oggi. Di là dal fiume, a meno di un chilometro dalla riva, intanto finiva l’altra favola, quella del cavallo di Persano. O meglio, la fecero terminare i militari portandosi tutto a Grosseto.

 I POMODORI SI AMMALARONO. Anche le fabbriche smisero di produrre così tanto e i pomodori, come un po’ dappertutto, si ammalarono. La fabbrica dei pomodori, gestita dalla famiglia Rispoli, venuta dalle zone stabiane, c’è ancora, ma la materia prima la fa arrivare da Puglia e Lucania. Gli operai, lavoro concentrato in pochi mesi all’anno, resistono ancora ma sono sfiduciati non fanno più “classe” ed i sindacati hanno perso smalto. Un’altra Carillia è nata, con la speculazione edilizia, e, soprattutto senz’anima. Davvero eroica la sfida di Franco Benedetto, ragazzo del bar e cappellano di anime perdute in tante epoche storiche quasi geologiche ed incomunicanti. Carillia: si ancora alberi e fabbriche, il Calore ed il Sele, ma con tanti che sono scappati in tutti gli angoli del mondo per salvare quel po’ d’identità perduta.


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