L’autunno dell’antifascista gentile, Franco Antonicelli ad Agropoli



ARTICOLO e diritti di ORESTE MOTTOLA

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E’ alla chiesa della Madonna del Granato, nella vicina Capaccio, che il confinato andò a sposarsi. Era il giorno di Santo Stefano del 1936. Lui aveva tight e cilindro, mentre la sposa indossava un costume grecizzante ispirato alle vicine "vestigia" pestane. Le due grandi automobili arrivate da Torino dopo aver attraversato la polverosa Tirrenica Inferiore che tagliava a metà l'area archeologica di Paestum aizzarono la fantasia popolare dei braccianti di Capaccio e di Fonte di Roccadaspide richiamati dall'evento. Difficile immaginare che sapessero chi fossero gli sposi. I giornali di allora queste notizie non le davano. Meno che mai la radio, tutta discorsi del Duce con il sottofondo di adunate oceaniche di folla e le truppe di Graziani e Badoglio che del Negus Hailè Selassiè facevano polpette, però usando i gas. Lei era Renata Germano, la figlia di Annibale, il notaio della Fiat. Ai locali della zona parve di assistere ad una scena di un film. Anche la scorta di forza pubblica che seguì lo sposalizio contribuiva ad aumentarne l'alone di leggenda.

"Ho sentito parlare di questi posti grazie ai racconti che mi faceva Franco Antonicelli, il mio istitutore", disse Gianni Agnelli quando, era il 1990, si fermò con il suo yacht nel porto turistico di Agropoli. Visita memorabile, l'Avvocato, allora al culmine del suo potere, si allungò fino a Paestum, dove visitò il caseificio dei Di Lascio facendo gran provvista di mozzarelle. Antonicelli chi? si chiese più d'uno. "Dovrete salutare per me mezzo paese" scrisse una volta ad un amico rimasto nel paese dove fu confinato dall'inizio dell'estate del 1935 alla primavera del 1936. Antonicelli è scrittore, uomo politico, giornalista, editore e grande coscienza critica dell'Italia repubblicana. Ad Agropoli ce lo mandarono a forza. Il paese che c' è chi indica al titolo di "capitale" del Cilento instillò nell'uomo di cultura piemontese, ma di origini pugliesi, un grande vitalismo.

"Autunno ad Agropoli" è il titolo del manoscritto di Antonicelli che è ancora inedito e che tale come vedremo è destinato ad essere ancora a lungo. Franco Antonicelli, una laurea in lettere ed un'altra in giurisprudenza, come ultima occupazione era stato il precettore del giovane Gianni Agnelli. "L'antifascista biografato in oggetto" o il "pregiudicato politico Antonicelli Franco", come si legge dalle note di questura, da sette anni era nel mirino della polizia fascista. Fin da quando, nel 1929, osò scrivere una lettera di solidarietà al filosofo Benedetto Croce che, in Senato, aveva contestato i Patti Lateranensi. Fu condannato ad un mese di carcere e gli fu proibito ogni impiego pubblico. Da qui la scelta di fare l'insegnante privato. Alle 6.45 del 15 maggio del 1935 fu coinvolto nella retata di duecento persone, tutto il gruppo torinese di "Giustizia e Libertà " e gli "einaudiani" della rivista "La Cultura". La "spiata" fu di Pitigrilli, lo scrittore decadente. Scattò così l'invio, per tre anni, al confino di Agropoli. Sempre meglio della galera? No, il confino, era sempre fatto di sofferenza ed umiliazione. Arrivato nella cittadina cilentana Antonicelli cercò subito il modo di occupare le giornate. Dipingeva i paesaggi che guardavano ai monti ed alla marina, scriveva, raccoglieva canzoni popolari cilentane dai marinai e dalle popolane, e poi fotografava. Entrava nelle povere case dei contadini e curiosava tra capre e maiali. Avrebbe voluto inerpicarsi per i paesi più interni, glielo proibirono. "Gli agropolesi gli vollero bene. Quel giovane signore colto ed elegante parlava con tutti. Ed ascoltava", racconta Domenico Chieffallo, che l'avventura dei confinati ad Agropoli, "almeno sessanta", l'ha raccontata in un suo prezioso libricino. Il periodo del confino ad Agropoli di Franco Antonicelli fu ricco di umanità . "Non abbiamo mai dimenticato Agropoli: io specialmente, quanto più passa il tempo, tanto più penso con piacere e nostalgia al vostro paese: mi ricordo tutte le giornate trascorse in compagnia vostra, tutte le canzoni cilentane che ho imparato, tutti gli amici che ho conosciuto", scrisse ad un amico di quel tempo. Così l'ex confinato Franco Antonicelli racconta del periodo che dovette trascorrere nel paese che ancora non era stato scoperto dal turismo di massa. Passava le serate di un'estate agropolese lunga che si prendeva grandi parti della primavera e dell'autunno stando fermo sui lunghi gradoni del porto conversando, dipingendo o manovrando la sua macchina fotografica. La mattina no, era alla marina, dove dai pescatori si faceva raccontare storie e canzoni. A Renata, prima fidanzata e poi moglie, scriveva ogni giorno una cartolina con un ad un lato una foto di Agropoli e dall'altra la trascrizione esatta di una canzone popolare.

Accettò di fare il padrino per il battesimo di Cristina, la figlia di Carola, il proprietario dell'albergo ristorante più rinomato del Cilento, dove scendevano Umberto di Savoia, il principino, e più di una volta, in segreto, Benedetto Croce venne a far visita a quel suo discepolo pugliese piemontese. "Ad Agropoli di quell'anno che Antonicelli rimase qui racconta Chieffallo rimane il ricordo di quella raffinata eleganza di modi, di comportamento, di parola. Un animo colto e gentile...".

Gli rimase sempre il rammarico di non essere riuscito a trarre da quella esperienza libri come "Cristo si è fermato ad Eboli" di Carlo Levi o "Il carcere" di Cesare Pavese.

Nel 1985 ad Agropoli si tornò a parlare di quel confinato gentile e colto. Il comune, l'editore Galzerano e la Fondazione Antonicelli organizzarono una mostra. Lettere, fotografie e disegni vennero pubblicate in un catalogo. Cinque anni dopo ci fu l'inaspettata visita di Agnelli ed il ricordo che volle fare dell'antico maestro stimolarono Giuseppe Galzerano a cercare di concretizzare il progetto di pubblicare quel romanzo inedito, i suoi disegni e la raccolta delle trascrizioni delle canzoni cilentane. Scrisse all'Avvocato che gli rispose a stretto giro di posta annunciandogli di mettere a disposizione dieci milioni di lire per il libro catalogo su Antonicelli. "La Fondazione, da Livorno, non mi ha voluto a mettere a disposizione le carte di Antonicelli e tutto è rimasto fermo". Così non potremo conoscere "Autunno ad Agropoli". Peccato.


CHI ERA FRANCO ANTONICELLI

 Fu la figura forse più eclettica, sfaccettata e ammirevole della cultura italiana fino al 1974, anno della dipartita di un intellettuale liberal che non esitò a schierarsi dalla parte della classe operaia e della sinistra anche più intransigente.

Instancabile e accanito antifascista già presidente a 42 anni del Cln Piemonte, poi senatore della sinistra indipendente, raffinato umanista laureato in Lettere e in Giurisprudenza, Franco Antonicelli fu innanzitutto un innovatore in campo culturale. Tanto è vero che, in qualità di direttore dell’editrice Frassinelli prima e della sua casa editrice Francesco de Silva poi, pubblicò per la prima volta in Italia, le opere di Kafka, il Moby Dick Melville nella celebre versione pavesiana, nonché il Dedalus di Joyce, L’Armata a cavallo di Babel, Riso nero di Sherwood Anderson, per non dire di O’Neill, Twain & via discorrendo. Scoprì anche Danilo Dolci, il teatro di Ibsen che fu il cavallo di battaglia di Gobetti quello per intenderci de La Rivoluzione Liberale, ancora di là da venire in questo ex ridente paese. Nato a Voghera nel 1902 da padre militare e da una gentildonna, Antonicelli letterato antifascista con tanto di arresti e confino, nel 1929, reo d’aver firmato una lettera di solidarietà a Benedetto Croce, venne colpito per la prima volta dalle misure di polizia del regime, subendo anche il personale attacco di Mussolini che ebbe a de/finire il nostro “imboscato della storia” per aver criticato il Concordato fra Stato e Chiesa.

Nel 1934 divenne collaboratore della rivista Cultura edita da Einaudi e vicina al movimento antifascista Giustizia e Libertà fondato nel 1929 da Carlo Rosselli. In quegli anni il professor Antonicelli campò dedicandosi all’insegnamento anche nei panni di precettore di Giovanni Agnelli.

“Bobbio era prudente e Antonicelli si esponeva” – ha sottolineato Pietro Polito direttore del Centro Gobetti. Tanto è vero che il 15 maggio 1935 Antonicelli venne nuovamente arrestato con Carlo Levi, Cesare Pavese ed altri duecento antifascisti piemontesi, in seguito alla delazione di Dino Segre, in arte Pitigrilli, spia dell’Ovra, che smantellò la rete clandestina di Giustizia e Libertà. Rinchiuso prima nelle Carceri Nuove di Torino e poi trasferito a Roma, fu condannato a tre anni di confino, poi ridotti a uno, da trascorrere ad Agropoli, piccolo paese costiero in provincia di Salerno, lui d’origine pugliese, dove sposò in tight & cilindro Renata Germano figlia di un notaio della Fiat.

Nel 1947 come editore in proprio Antonicelli pubblicò Se questo è un uomo di Primo Levi rifiutato dall’editoria italiota tutta compresa l’Einaudi, mentre presso la Rai introdusse il Topolino di Walt Disney e scrisse un pezzo in/credibile su Marylin Monroe. Sempre nel 1947 ricevette Gaetano Salvemini al ritorno dall’America e contribuì a fondare l’archivio della Resistenza.

Definito da Italo de Feo della Rai “filocomunista & comunistoide” nonché un compagno scomodo del Pci che “parla come un budino” – com’ebbe a ridir di lui il compagno Togliatti Palmiro.

Considerò il ’68 come continuatore della Resistenza e nel maggio dello stesso anno Antonicelli venne applaudito dagli operai della Fiat come candidato indipendente del Pci-Psiup. Rappresentante di una borghesia illuminata liberale e persino socialista, ormai sostituita dai rampantismi berlusconiani & fi/renzini, Franco Antonicelli con il suo lavoro intellettuale e il suo coraggio civile, ha finito per influenzare, oltre alla sua generazione, le due che l’han seguita. Se per vivere una vita piena sono indispensabili intelligenza, fegato e cuore, Franco Antonicelli li aveva tutti e tre.

 Cesare Pavese che ebbe a de/finire Antonicelli “uno dei tipi culturali più significativi di Torino” nonché “onestissimo, sincero e coraggioso democratico” –  Massimo Novelli: “Antonicelli aveva la sfortuna di essere un uomo elegante”. Insomma un vero & proprio dandy persino bello – teniamo a precisare noi che abbiamo avuto l’onore e il piacere di conoscerlo – due at/tributi non proprio graditi dalla cultura catto-fascio-comunista che ancora attarda questo ex bel paesino… a parte ovviamente Torino.

in libreria e nelle edicole agropolesi è comparso un nuovo libro di Nicola Rizzo. “Antologia d’antan” è il titolo di questo piccolo volume di agevole lettura, edito da effed’i, che sarà presentato l’11 settembre al Castello di Agropoli, nell’ambito della rassegna “Settembre culturale” promossa ed organizzata dall’Assessorato all’Identità culturale del Comune.

Antologia d’antan è l’antologia di un tempo, di un’epoca, ma anche di un luogo: quel tempo sono gli anni Trenta del secolo scorso, all’epoca del fascismo, quel luogo è Agropoli.

Agropoli e il suo paesaggio così come in quegli anni venivano descritti da tre uomini di lettere che allora la conobbero, per vicende personali, motivi e circostanze diverse: vuoi perché qui di passaggio, vuoi perché qui costretti o, ancora, perché qui di casa.

Apre la raccolta un articolo del 1932 scritto da Giuseppe Ungaretti durante un viaggio in Cilento compiuto come inviato speciale della Gazzetta del Popolo.

Seguono una memoria e alcune pagine di diario di Franco Antonicelli, intellettuale torinese che tra l’agosto del 1935 e il marzo del 1936 fu confinato ad Agropoli dal regime, a cui si aggiungono le trascrizioni delle filastrocche popolari da lui raccolte dalla gente del posto in quel periodo.

Concludono la trilogia una scelta di versi e alcuni scritti inediti dell’avvocato Pierino Angrisani, composti tra il 1936 e il 1939.

Una selezione di cartoline illustrate e foto amarcord arricchisce il testo, recuperando, in modo figurato, il ricordo di quegli anni.




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