ALTAVILLA SILENTINA. Sul perché non ci sono più ritrovamenti archeologici




articolo di ORESTE MOTTOLA
Dall’ascia neolitica di Cerrocupo alle sepolture del Foddaro e nella Macchia. E poi gli scavi di San Lorenzo.
Negli anni Settanta e Ottanta, anche sotto la spinta di studiosi locali come Peppino Galardi e Carlo Sassi, questo paese stupiva per la quantità e qualità di ciò che veniva alla luce arando i terreni. Ora non è più così. Tutto si è fermato. Solo colpa di trattori più potenti e di aratri giganteschi? Terra ricca anche di risorse archeologiche ancora nascoste quella altavillese. Ci muoviamo con i piedi nella storia: “Ubicumque pedem indicibus in aliquod historiae vestigium ponimus”; lo disse già Cicerone per l’Italia ma l’affermazione è tanto più vera per un territorio, che è davvero un campo aperto per l’archeologia. Sì, occorre fare attenzione a dove si mettono i piedi, siamo già nell’agro dell’hinterland di Paestum. Gli occhi devono stare aperti e ci dev’essere voglia di cose nuove. Già oltre un secolo fa i fratelli Ferrara scrissero: “Abbondano nel tenimento altavillese avanzi antichi di ogni maniera ed è specialmente straordinario il numero dei sepolcri. Discorrendo cò più vecchi c’è da restare meravigliati della quantità di tombe venute continuamente alla luce e contenenti armi, monete medaglie, vasi e altri oggetti dei quali essi han sentito parlare, o che han visto coi propri occhi. Non v’è contrada dove non ne siano stati rinvenuti”. Era il 1898 e si è continuato a lungo. Archeologi illustri del passato hanno già scavato. Viola alla fine dell’Ottocento al Feo con tombe lucane molto simile al celeberrimo Tuffatore di Paestum; Marzullo negli anni Trenta a Scalareta scopre vestigia etrusche; Peduto a San Lorenzo negli anni più recenti ci racconta del nostro passato bizantino. Alzi la mano chi è in grado di dire dove oggi sono esposte al pubblico le tombe decorate di Carillia o il dipinto di Assteas (pittore del V sec. ) trovato a Scalareta e anche quel “capitello di marmo ben lavorato”, trovato a San Lorenzo, descritto da un cronista dell’ epoca e che una “vox populi” dell’epoca dice che sia stato subito rubato. Per quanto riguarda i materiali archeologici trovati a San Lorenzo per gran parte stanno presso il Centro di Archeologia Medioevale dell’Università di Salerno. Certamente a disposizione degli studiosi ma negati alla fruizione di un pubblico più vasto. Migliore fortuna non hanno i reperti (pochi) che sono conservati presso il Museo Nazionale di Paestum. Non tutto è negativo. Alzi poi la mano chi sapeva che un reperto scavato a San Lorenzo di Altavilla Silentina ha fatto il giro dei principali musei del mondo, facendo bella mostra di sé. Si tratta di un’anfora a cannelures decorata a bande rosso brune e che serviva per contenere l’olio sacro. E’stata esposta infatti nella mostra internazionale dedicata ai Normanni. La notizia ci è stata fornita diretta mente dal prof. Paolo Peduto, docente di Archeologia Medioevale presso l’Università di Salerno. Lo studioso ci mette a conoscenza di aver fatto dei rilievi sul terreno che restituirebbero ad Altavilla Silentina quello che la memoria storica della gente si è sempre attribuita, il “Portus Alburnus”. Esso è proprio alla località che ha già un nome rivelatore: Portello. Si trova lungo il Calore quasi alla fine di Cerrocupo. Il posto è tra i più conosciuti perché qui c’ è il Mulino dei Cennamo. Il termine dialettale è Portiello. Parte alta di Cerrocupo, di fronte alla Pietramarotta, contrada di Postiglione. Per Peduto si può cominciare a mettere la parola fine sulla disputa che ha diviso storici e geografi per secoli. Ha cominciato Probo Grammatico, che commentando il passo scritto da Virgilio nelle Georgiche sull’Alburno, dice che oltre il monte, vi è un porto con lo stesso nome. E via via poi tanti altri. Di questi, però, c’era chi lo faceva sorgere vicino a Paestum e chi alla confluenza tra Sele e Calore. Ma nessuna vestigia o traccia è restata. Ed è anche per questo che quando si scopre che a Portiello, oltre al toponimo, ci sono molte strutture portuali medioevali intatte, murature e attracchi, si deve prendere in considerazione l’ipotesi che il “portus” era proprio qui. Perché in una zona cosi nascosta? Due sono le risposte possibili. Motivi pratici? Perché vi si esercitava anche la pirateria, allora attività lecita, e ci voleva un posto sicuro per nascondersi. Religiosi, perché l’Alburno era considerato, già dai tempi di Tertuliano una divinità, ai piedi della quale era Pagina 1
Pagina 2 di 2conveniente mettersi. Procurarsi il cibo era facile perché nel fiume c’era una ricca fauna ittica. Ancora nell’ultimo dopoguerra spigole e orate ne risalivano il corso in corteo con anguille e capitoni e le trote rosate erano davvero tante. Con la lontra faceva da spazzino e becchino del fiume ed eliminava i pesci vecchi e malati. Appena dall’altra riva correva la romana strada del sale attraversava tutta la Valle Calore per far arrivare al Vallo di Diano il prezioso condimento. Quello stesso percorso servi più tardi ai briganti e alle loro donne (molte le altavillesi!) per le loro scorribande. “Portiello” terra di un qualche interesse strategico lo era per forza: di fronte ci sono gli Albumi e a pochi chilometri la vecchia strada consolare che portava a Potenza e in Calabria, il bosco di Persano e su tutto dominava quel fiume da sempre teatro di vicende di caccia e d’amore, come di tragici annegamenti e ameni passatempi. E qui a Cerrocupo che il corso capriccioso del Calore si placa. Diventa tranquillo e ordinato. Oggi al posto del vecchio mulino ad acqua c’è un’apparecchiatura industrialmente asettica. La trasformazione è stata gestita dalla famiglia Cennamo, mugnai da oltre 120 anni. Sono stati Raffaele e Goffredo Cennamo a mettere una bacheca per ricordare la storia di famiglia. Storia di momenti felici e di grandi tragedie individuali e collettive come la tassa sul macinato e il razionamento. . . dopo l’ultima guerra. Molto belle sono le pubblicità dei fabbricanti di mulini del secolo scorso. Oltre due secoli un’altra famiglia di mugnai, i Marzio, fallirono perché dissanguati per le spese sostenute per incanalare il fiume. Per questo gli subentrò la famiglia Cennamo, proveniente dalla vicina Postiglione. Il porto, un mulino. La storia continua. Se è impossibile chiedere campagne di scavo sistematiche c’è da tanto da studiare su quanto è stato già riportato alla luce. O che quello che giace, praticamente abbandonato nei depositi dei musei di Paestum, Salerno e Napoli, sia esposto in un piccolo museo locale che funga da ulteriore attrattore turistico. Su quest’obiettivo, così minimo, hanno fallito (o peggio, non ci hanno mai provato) le classi dirigenti municipali degli ultimi tre decenni. Chi viene qui per acquistare della buona mozzarella è probabile che qualche ora la possa dedicare anche ai nostri reperti. Per arrivare a questo risultato non c’è bisogno solo di locali adatti e investimenti. C’è anche un gap di conoscenza da colmare. Sugli insediamenti altavillesi d’epoca romana, solo per fare un esempio, si conosce poco o niente. E’ come se ci sentissimo talmente orgogliosi di una mitica fondazione d’epoca altomedievale del nostro paese da recidere tutti quei legami che ci riportano al nostro status di terra che è stata, più di altre caratterizzata dall’incontro e dallo scontro di civiltà diverse, e quindi anche greca, romana ed etrusca per poi contaminarsi con bizantini longobardi, arabi e normanni e quant’altri sono seguiti.
Oreste Mottola

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