SACCO. CILENTO. Ricordi giovanili: ecco chi c’era con noi al “Carrare re li vuoi” a piantare abeti e castagne

 

Sacco fu al centro, tra il 1979 e il 1982, di un’intensa esperienza di cooperazione giovanile. Oreste Mottola, uno dei protagonisti insieme a tanti altri, oggi la racconta così.  

Sacco, località "Sacco Vecchio", resti della vecchia chiesa romanica 


 

La realtà era che ci trattavano come se fossimo nei reparti confino dove la Fiat relegava i suoi operai più sindacalizzati. Nella montagna di Sacco e nei nidi aquila che sovrastano Magliano Vetere, a piantumare abeti e castagne. Era il periodo nel quale i privati erano ancora i protagonisti nella forestazione pubblica delle zone interne del Cilento e vigeva un tacito accordo di spartizione tra politici, i progettisti, più di un’impresa privata e anche il sindacato era compartecipe della spartizione. In questo banchetto qualche porta restò aperta e così entrammo anche noi. Giovani di sinistra variamente assortiti (io ero con “Il Manifesto”, socialista Silvio Masullo mentre Franco Latempa era già il segretario della locale sezione del Pci e Cosimo Peduto era alla Cgil).  Nessun trattamento privilegiato, solo il lavoro per noi era tanto, mentre i soldi pochi e ci arrivavano dopo lotte lunghe e inenarrabili presso la sede della comunità montana. Lo dicevano chiaramente: dovevamo "scoppiare" e andarcene dalle balle. Invece seppur da giovani studenti con le mani ancora “gentili”, vale a dire non ancora indurite dai calli e i muscoli attaccati dalle artrosi come i braccianti più anziani, stringemmo i denti e resistemmo tra il “carraro ri vuoi” e il “Pennino”, zona Corticato, più vicini a Teggiano che alla nostra Valle del Calore. Stavamo nei ranghi di una cooperativa che lavorava a cottimo con la comunità montana, lavoratori forestali di serie B, dal destino segnato poiché avevamo lo stigma di una visione del mondo e dei rapporti sociali che non piaceva a chi comandava. Lavoravamo ed eravamo educati ma non bastava, dicevano che davamo un cattivo esempio ai politici che allora, sì ai livelli più bassi, vendevano come favore anche la loro inutile firma anche sui certificati dell’anagrafe.

Gli anni erano quelli tra il 1979 e il 1981. Il resto d’Italia era in fiamme per le stragi e lo scontro militare a bassa intensità sul terrorismo. Da noi l’Esercito cercò di militarizzare il monte Cervati. Toccò a me, a Piaggine, resistere – con successo – a questo disegno. Un allora autorevole dirigente Pci in una riunione mi accusò di “guevarismo”. In un’altra sede, il giornale “Unico”, ho già avuto modo di raccontare di come Silvio Masullo tentò di indicarci la via di un impegno più culturale che politico – sindacale, cosa che poi tentò di realizzare con un cineforum, le cui autentiche finalità  furono comprese – come mi racconta - solo da un gruppo di amici. Prevalse l’appiattimento sull’impegno nel sindacato o nella sezione di partito e il nostro entusiasmo giovanile, anche verso vie nuove d’impegno civile, venne così disperso. Alla cooperativa fu quasi subito chiuso il canale di altri finanziamenti per la forestazione e si passò a vagheggiare e praticare un’avventura imprenditoriale rispetto alla quale dire che eravamo impreparati è un eufemismo che oggi, dopo 35 anni, possiamo ben concederci. Alle lotte non ci sottraemmo, ai cortei dei braccianti, da Napoli a Sala Consilina, eravamo sempre in prima fila e una volta occupammo anche la sede della comunità montana del Calore quand’era in località Santa Palomba di Roccadaspide. Scattò subito la denuncia nei nostri confronti di molti di noi e l’imputazione d’invasione di edifici pubblici un po’ ci spaventò. In realtà avevamo solo un po’ campeggiato nell’uliveto che contornava la sede e non disturbato e interrotto il lavoro degli uffici. Il pretore Mautone lo capì e ci prosciolse senza nemmeno mandarci a processo. Di quegli anni mi rimane il rapporto con questo straordinario paese che è Sacco. Ancora oggi con quei compagni di lavoro (e di vita e di lotte) ci si riconosce e apprezza. Nel mio cuore sono i fratelli Cataldo, Mario e Pietro. Con quest’ultimo il rapporto è stato intenso, mi raccontava della sua vita e dei diversi mestieri svolti, il sorriso e l’ironia erano sempre i suoi tratti distintivi, e tanti aneddoti potrei qui raccontare: dalla paciosa reazione alle mitragliette che una mattina un paio di giovani carabinieri ci mostrarono (altro eufemismo) a un posto di blocco (“viriti sti cosi dove l’abbiate…”) a come interveniva nelle discussioni collettive piazzando il suo micidiale e ironico: “scusate se l’ignoranza mia non arriva alla vostra”. E poi il caffè e l’invito a casa sua se “osavo” passare per Sacco. Un uomo operoso, pacifico, intelligente e ironico. Così lo ricordo. A Sacco veniva anche Riccardo Maucione, da Magliano Nuovo, ha fatto poi carriera nell’aeronautica militare, “il Rosso” (il colore dei suoi capelli) e in ultimo ha messo a frutto la sua sensibilità artistica diventando anche un apprezzato pittore. Franco Latempa, al quale devo la scoperta del meridionalismo di sinistra, mi ha accostato alla storia dei moti popolari del Cilento, dai Filadelfi alla setta della Fratellanza, e alla grande vicenda da scrivere dell’usurpazione – prevalentemente ottocentesca - delle terre pubbliche cilentane da parte della borghesia locale. Lui si era formato alla grande lezione di Antonio Nigro, il professore di Piaggine. Qui strappo un impegno pubblico ai piagginesi Alfonso Marino, Mario e Nicola Nigro, per “illuminare” questa così luminosa figura di intellettuale civile di casa nostra. Altri compagni di avventura, in quelle selve del Corticato, furono Rosario Tierno, Domenico Marino, Silvio Masullo, Angelo Accetta, Luigi Grieco e Rocchino Stabile. Di altri giovani, di Laurino e di Campora, non ricordo più i nomi. Federico Vairo e Franchino Di Perna, di Piaggine, li avremmo incontrati qualche tempo dopo. A tutti loro devo la scoperta di questo straordinario scrigno di tesori umani, culturali, storici e politici dei quali della Valle del Calore è ricca. Loro mi portarono alla prima festa che si tenne in una Roscigno Vecchia completamente al buio e prima che i giornalisti e l’intellettualità radical chic la facessero conoscere al mondo. Più o meno l’atmosfera del libro “Cade la terra”, ed. Giunti,  della mia conterranea Carmen Pellegrino. Già, ma io già cominciavo a progettare giornali fatti in casa. Questa però è un’altra storia!    




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BIOGRAFIA A MODO MIO

Oreste Mottola è nato a Altavilla Silentina nel 1960. Il diploma in agraria è del 1979 dopo aver abbandonato gli iniziali studi liceali. Nell’anno prima del terremoto, evento spartiacque per la sua generazione, due viaggi lo influenzeranno molto. Con l’amico Rosario Lucia, quasi come nei “diari della motocicletta” di Che Guevara, percorreranno l’intera Valle del Calore – luogo a lui fino a quel momento sconosciuto -  e, da quel punto in poi, ai problemi del comprensorio tra Vallo di Diano e Cilento dedicherà il suo impegno civile prima ancora che professionale. Nell’isola spagnola di Maiorca è protagonista di un raduno giovanile internazionalista dedicato al Mediterraneo. Invece di spiccare il volo per ben altri lidi resta qui, tra Paestum e il Cervati, Persano e monte Motola. Giornalista, è stato per quasi vent’anni collaboratore del quotidiano “Il Mattino”. Attualmente è al “Quotidiano del Sud”. E’ autore di diverse pubblicazioni editoriali, tra le quali “I paesi delle Ombre”, ed. Magna Graecia, e "Fiumi, Montagne e briganti", sempre con Magna Grecia 



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