COME TRANCHELLA FU VENDUTO. "Avette na vita ra leone ma facette ‘na morte ra fesso”




Avette na vita ra leone ma facette ‘na morte ra fesso” così la voce popolare chiosa e riassume la sua vita. In ultimo si voleva costituire e aiutare anche tutta la sua banda molti dei quali avevano i requisiti per rientrare nelle amnistie decretate dai piemontesi. Ma i suoi padroni lo inguaiarono e lo fecero uccidere per evitare che potesse parlare. Se lo vendettero, per quattro soldi,  ancora un’altra volta. A vendicarlo, ma giusto un poco, fu la sua Francesca Cerniello quando nella sua deposizione indica i nomi dei mandanti. Evitando gli altavillesi, indice di un ruolo marginale di uomini del paese silentino nel brigantaggio. Vicenda che spiega bene Giuseppe Figliolia Forziati nel suo documentatissimo volume “Castelcivita”, edito nel 2015 dall’Arci Postiglione. Il protagonista è don Giuseppe de Vincenzo, il parroco di Castelcivita. “Tranchella soleva dire che il prete De Vincenzo prendeva denari dal Governo, dai briganti e dai ricattati, e qualche testimone accertò anche che i briganti dicevano che non si doveva chiamare la banda di Tranchella con un tal nome, ma con quella di De Vincenzo”. (R. Mare. Un prete scomodo: Don Giuseppe De Vincenzo) . Come ogni meridionale figlio di buona donna fu un trasformista , nel 1848 partecipò ai Moti. Gli bastò incontrare il maresciallo Del Carretto, ministro di Polizia, in una casa di Castelcivita per intraprendere una carriera di ricattatore e malfattore di grosso rilievo, oltrechè fervente borbonico. Nel decennio successivo operò nel proprio paese e fu accusato di tutto: a un furto seguiva la sua cooperazione attiva per fare arrestare i responsabili del successivo, il 20 luglio del 1861 è accusato di parricidio, poiché il padre Giovanni è trovato morto nella vasca della sua abitazione. La fa sempre franca. Nel luglio 1863 è accusato di essere il mandante del sequestro dei castelcivitesi sindaco Angelo Forziati e del segretario comunale Giovanni Giardini, attuato dalla banda Tranchella, mentre passavano intorno al bosco di Persano per condurre il figliolo di uno di uno di loro alla “visita” militare a Campagna. Giovanni Vecchi, delegato di Polizia di Postiglione, non ha dubbi. Il mandante è il prete. Arrestato torna presto libero e con nuove missioni da svolgere. Le accuse che gli rivolge la Cerniello nel 1869 lo rafforzano, effettivamente tra i briganti don Vincenzo è uno che conta. “Dal capitano Negri, comandante del 6° battaglione bersaglieri, ottiene un salvacondotto poiché si è obbligato a far arrestare la banda Tranchella. Subito provvede a falsificarlo e lo raddoppia. Uno lo trattiene per sé e i suoi traffici, mentre il secondo verrà direttamente consegnato ai briganti che lo useranno a loro piacimento”. Il capitano Negri insiste affiche don Vincenzo rispetti i suoi impegni e consegni Tranchella. Quando contatta il prete questi sostiene che ha ancora alcune faccende da sbrigare con Tranchella, “che gli serve ancora”. Il 20 settembre 1864 c’è il sequestro dei fratelli Passaro di Castel San Lorenzo e del prete Maiuri di Albanella. Don Vincenzo trasforma Negri nel suo protettore. Vecchi lo arresta? Lui corre dall’ufficiale milanese a proporre una scorreria che renda più vicino l’arresto di Tranchella e lui libero e protagonista. “Aumenta anche la quantità di cibo, dolci e liquori che fa arrivare ai briganti”. Si era stancato di questi giochi anche Gaetano Tranchella ed aveva deciso di arrendersi ai piemontesi avendo messo al sicuro in vari posti i suoi “tesori”, ormai nascosti al prete. Tranchella in mano dei piemontesi avrebbe potuto lucrare un salvavita e … parlare. E mettere una “buona parola” per molti dei suoi che avrebbero potuto usufruire delle amnistie. Il direttore del carcere di Salerno e Curzio, consigliere provinciale di Salerno, accettano l’ultima manovra spericolata del prete che chiese di farsi scarcerare e condurre lui personalmente i soldati nel bosco di Persano per prendere Tranchella. La prima volta chiese di andarci da solo e dissuade Tranchella da ogni proposito rinunciatario. Arriva così il 23 novembre quando un gruppo di militi lo sorprende in quelle terre e lo uccide. Finisce così il mito di Tranchella, Don Vincenzo nel 1867 quando verrà arrestato condannato a tre anni, più un anno di sorveglianza speciale. Dal 1872 è libero, dopo aver riorganizzato una sua banda a Castelcivita, tenta di nuovo di inserirsi nei giochi di ciò che è rimasto del brigantaggio che è rimasto in zona, soprattutto Manzo ad Acerno e le bande di Campagna. Era però “carta conosciuta” e finì di nuovo sotto scacco. Le “uova d’oro” le teneva solo Tranchella. Non venne arrestato perché, ormai vecchio e malato, si confinò nella sua residenza in montagna e ogni volta che i militi lo cercavano correva a nascondersi dopo essersi mimetizzato in un vecchio e innocuo pastore. Si presentò a un processo per le sue nuove attività di brigante di paese. Si ricorda ancora l’esclamazione del presidente della Corte: “Una cosa ho capito, lei è o un Dio, o il peggiore dei diavoli”. Di certo c’è, aggiungo io, che in un mondo difficile come quello dei suoi tempi, non fosse certo molto incline al bene. Morì a casa sua, in paese, don Vincenzo, il 23 luglio 1885, aveva 74 anni.

Oreste Mottola

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