"TRA NOI SOLO DONNE ONESTE". INCONTRI DAVVERO RAVVICINATI CON BRIGANTI DELLA BANDA TRANCHELLA

Di queste notizie non avevo conoscenza quando ho pubblicato "Fiumi, briganti e montagne". Pertanto questo è un capitolo di integrazione al mio libro, magari, in un futuro, faranno parte di quella biografia di Gaetano Tranchella e Francesca Cerniello che mi riprometto di scrivere.

di Oreste Mottola orestemottola@gmail.com

Giovani briganti che posano, orgogliosi per una foto ricordo


“Altezza della fronte 63”, annota lo psichiatra lombrosiano. La “Biografia di due vecchi briganti” è all’interno di un volume di medicina legale del 1907 , redatto dall’istituto di medicina legale della R. Università di Genova, diretto dal prof. A. Severi. Oggi il libro è nella biblioteca della Harvard Lan Library. E’ molto interessante perchè, per la prima ed unica volta, fa parlare due componenti della banda Tranchella che dopo quarant’anni di detenzione ancora si trovano in prigione. Il primo, O.N., sono le sue iniziali, dice di essere stato costretto a scegliere la via del banditismo.

Ero come nu rre

“I militi mi perseguitavano”, dice. “L’ho fatto per salvare la mia casa di famiglia ed il misero  peculio”.   E poi: “Ero come nu rre, potevo ammazzare chi volevo, senza rendere conto a nisciuno”. L’ergastolano, vecchio brigante, si racconta davanti al giovane medico che è andato a parlargli. Siamo nel primo decennio del Novecento, da quarant’anni, quello che una volta era un giovane e vigoroso contadino, marcisce in una prigione in condizioni che fanno inorridire anche il giovane dottore. Si chiama “bagno penale” ma è peggio della Caienna. Montagna brulla dietro e davanti il mare, scappare è impossibile. O.N., ne conosciamo solo le iniziali, è lì da oltre quarant’anni, prima condannato a morte, e poi con pena commutata nei lavori forzati a vita. Dall’università di Genova escono questi dottorini che, come prescriveva Cesare Lombroso, vanno a misurare i crani di questi detenuti. Il nostro O.N., che da giovane aveva fatto della banda Tranchella, conserva qualcosa del suo passato brigantesco, a cominciare dai lunghi capelli inanellati che gli scendevano sulle spalle. Barba lunga e rossa. In carcere ha imparato a scrivere e leggere. E divora i grandi romanzi d’avventura. Si presenta come figlio di piccoli contadini con un po’ di terra, qualche capo di bestiame, valore per 400 forse 500 scudi. Si trova - con la sua famiglia -  in mezzo allo scontro tra esercito piemontese e briganti. Sceglie di parteggiare per i briganti. “Parlavano che li capivo. Gli altri mi sembravano stranieri. Mi facevano più paura. Con i piemontesi c’erano molti ungheresi. Tagliami mano e piedi ma buttami con i miei. Scelsi loro, i briganti. Mi fecero capire che dovevano essere forniti di viveri e perciò servivano denari”. Va con loro, sceglie la loro vita pericolosa assai. Dice che lo fece “per aver salva la vita sua e dei suoi familiari perchè non avevano soldi o vettovaglie in più da regalare”. Vita salva sì, ma subito dura.  “Anche nel mangiare ci dovevamo stare accorti. Vietato accendere fuochi per non segnalare ai nemici la nostra posizione. Pericolo sempre addosso: nel cibo freddo ci potevano essere dei sonniferi. Manco dormire si stava tranquilli, un agguato era sempre possibile”. Vita difficile ma libera.  “Mai ho ucciso un uomo pacifico io solo. Solo in scontri con la forza pubblica”. Parlano ora i vecchi briganti della banda Tranchella, quella che operò – tra il 1861 e ’64 – tra Altavilla Silentina, Eboli e Serre. Oggi dalla biblioteca di un’università americana è uscito il fascicolo di quelle relazioni mediche. Dopo aver fatto le debite “misurazioni” al cranio, come il loro caposcuola insegnava, fanno parlare questi sopravvissuti della banda Tranchella. Sono riusciti anche a resistere all’inferno delle carceri sabaude per oltre quarant’anni. Quest’ultima parte è stata per entrambi la più difficile. Catturati già nel 1867 ci vorranno tre anni per rimediare una parvenza di processo solo. Il primo è condannato a morte, pena poi commutata nei lavori forzati a vita, il secondo è direttamente condannato ai lavori forzati. Nelle “cartelle cliniche” ci sono significativi frammenti della loro storia di vinti condannati anche alla dannazione della memoria. Il loro “vissuto” suscita l’ammirazione di quei sanitari.

Vengono da famiglie di longevi, curandosi sempre con niente, spesso nemmeno con le erbe e le foglie degli alberi, anche quando avevano rimediato ferite anche gravi. 

Vengono da famiglie di longevi, curandosi sempre con niente, spesso nemmeno con le erbe e le foglie degli alberi, anche quando avevano rimediato ferite anche gravi.  I medici sono ammirati dal prodigio. I due dicono essere “colonnelli” di Tranchella, incaricati di farne proseguire le attività dopo che il 23 novembre 1864, Gaetano e tre suoi uomini, cadono nel corso di un conflitto a fuoco con l’esercito. Iniziano - nelle interviste - con il difendere il ruolo e l’onore delle brigantesse. “Sì, erano amanti di qualcuno della banda e a quell’uomo si mantenevano fedeli. Poi mai tradimento ci poteva essere in un gruppo di armati che vivevano assieme giorno e notte”. Poi si passa al racconto di come era portata avanti la questione sentimentale: “Nessuna prostituta era tra noi. Un giorno di passaggio in uno dei paesi qui intorno una ragazza volle per forza seguire uno dei nostri. Era un po’ chiacchierata e si tentò di allontanarla. Lei ci riuscì a seguire garantendo di essere sana e non portatrice di malattie particolari. Qualche giorno dopo uno dei nostri morì per un'infezione di blenorragia. La donna venne cercata e freddata a bruciapelo con un colpo d’arma da fuoco alla testa”.  Il sogno di ogni giornalista appassionato di cose storiche è di non trovare solo vecchie carte ingiallite con scritti con calligrafie incomprensibili ma testimonianze di vita, veri e propri memoriali. Simile la storia dell’altro uomo,R.V. , “altezza della fronte 63”, arruolato tra i briganti per sfuggire all’arruolamento nel nuovo esercito. Per i medici però questi è più un primitivo, espressione di un mondo che rifiutava ogni idea nuova, che era per il trono e l’altare. “O ‘rre viecchio”, perchè si conosceva. 

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