I paesani indolenti fanno morire i piccoli borghi


Un'amara riflessione dallo scrittore Franco Arminio 



di Franco Arminio |

il Fatto Quotidiano 12 gennaio 2019



Bisogna arieggiare i paesi portando persone da fuori. I paesi non si fanno

cambiare, non credono al bene, sono troppo abituati alla sconfitta, non credono

ad altro. Ho detto più volte che nei paesi i soggetti più attivi sono gli

scoraggiatori militanti. Hanno un’insolenza che non si dà tregue. Non ti puoi

illudere di essere risparmiato. Più fai qualcosa per il paese e più diventi un

problema. Sei una persona sospetta.

Il paese resiste quando vuoi salvarlo. Gli piace stare con la trave sulla pancia.

Ma la mia idea è che non bisogna arrendersi, anzi la mia idea è che bisogna

tornare e ingaggiare una battaglia con gli scoraggiatori. Per prima cosa quando

qualcuno parla male di un tuo amico tu devi andare via, non devi dare nessuno

spazio alla maldicenza. Bisogna isolare i maldicenti, fargli sentire che sono

squallidi, che non meritano nessun ascolto.

E bisogna assolutamente provare a fare ogni giorno qualche esercizio di

ammirazione, indicare all’attenzione degli altri chi nel paese sta facendo

qualcosa di buono. Non è possibile che non ci sia nessuno che meriti una lode.

In fondo ne basta uno, basta che ci sia ancora un generoso in giro e loro non

hanno vinto. Una persona di valore è la prova che il valore è ancora possibile,

che i miserabili non hanno cancellato il piacere di fare cose belle e giuste.

I paesani stanno uccidendo i paesi perché oggi i paesani non sono più i cafoni di

una volta, quelli potevano essere inchiodati alle tradizioni, ostili al nuovo, ma

almeno erano solidali col luogo, avevano dei saperi, avevano una dignità, una

cultura. I paesani di oggi a volte sono relitti antropologici, sottomarini

dell’autismo corale, fringuelli dell’insolenza.

In ogni paese andrebbe aperto un conflitto con queste persone. E la politica

dovrebbe tenere conto della situazione psicologica di questi luoghi prima

ancora che di quella economica. Gli scoraggiatori spesso sono persone ben

stipendiate, sono persone che mandano i figli nelle scuole del Nord. Io qui sto

parlando dei paesi del Sud, sono quelli che conosco meglio. Immagino che

molte delle cose che sto dicendo valgano anche per i paesi del Nord. Anzi, io

nemmeno dei paesi del Sud posso parlare veramente. Io posso parlare solo del

mio paese. E anche sul mio paese non posso dire di conoscere tutto. Il paese

cambia, si formano nuovi riti. Devi sempre tenere lo sguardo sveglio, altrimenti

ti sfuggono i nuovi movimenti che il paese produce. Un paese non è un luogo

inerte. Dieci anni fa aveva un colore che adesso non ha più. Il paese che io amo

è quello dello spazio fisico, il paese dei gatti e della luce, il paese vuoto mi dà

pena, ma almeno è un paese che non sparla. In fondo per ogni porta chiusa c’è

un maldicente in meno.

Bisogna riconoscere che spesso alcuni paesi sono piccoli inferni. L’innocente è

fuori posto. Chi non si ubriaca, chi studia, chi è operoso sembra uno da cui

guardarsi, uno che non c’entra con lo spirito del luogo. Io so che la mia

battaglia è difficilissima. La paesologia in fondo viene riconosciuta più nelle

città. Se guardo alle persone che in questi anni si sono iscritte alla casa della

paesologia, vedo che raramente vengono da piccoli paesi. Il mio lavoro

dovrebbe essere sostenuto proprio nei paesi più piccoli e invece questo non

accade. La mia ambizione forse è troppo grande, è voler cambiare la postura dei

paesi, farla finita coi paesani, creare dei residenti legati al luogo ma non alle sue

maldicenze. Mi ribello al paese che si ubriaca, al paese che elegge sindaci dal

cuore piccolo. Mi ribello a quelli che Carlo Levi chiamava i Luigini e che oggi

ci sono ancora, sono i conservatori che stanno qui per prendere senza dare, sono

i tirchi a oltranza. Io ho il cuore gonfio di rabbia, mi sento imprigionato come

una mosca nella loro tela. Combatto, cerco aiuto, ma l’aiuto che arriva non è

mai abbastanza. Dovremmo portare nei paesi eserciti di incoraggiatori, persone

che diano un altro colore alle piazze, che invitino i buoni a uscire di casa.

Invece accade che le persone migliori vanno via, chi vuole fare qualcosa trova

troppi ostacoli, anzi finisce per immaginare anche gli ostacoli che non ci sono.

Questa è la forza degli stronzi, quella di apparire più forti di quello che sono.

C’è come un difetto della vista che ci porta a ingigantire le miserie e a

minimizzare la bellezza. Il paese ti dà questa ottica distorta. E devi fare esercizi

durissimi per avere uno sguardo giusto, per vedere il bene e il male nelle loro

proporzioni reali. La casa della paesologia a me adesso sembra l’unica

possibilità per chi vuole allearsi e sostenere le mie posizioni. È un tentativo di

creare una comunità contro gli scoraggiatori. Più che una casa è una trincea. È

un presidio per combattere la grettezza. Non si può essere inermi, la grettezza

non si fa i fatti suoi, tende a conquistare anche te, non si accontenta del suo

terreno, vuole averne anche altri. Ecco perché se loro si fanno i fatti tuoi, se loro

vogliono osteggiare il tuo chiarore, tu devi osteggiare la loro oscurità. Non si

può fare a meno del conflitto. Non si può pensare che il paese si rassegni al

bene, si disponga da solo all’ammirazione e alla gratitudine.

La casa della paesologia a me sembra uno strumento importante se diventa uno

strumento fatto di tante voci, se dai paesi e dalle città si riesce a creare un

movimento ampio. Chi non può essere fisicamente ai nostri incontri, comunque

ci può aiutare iscrivendosi. Non si può far finta che questa cosa non esista. Non

si può pensare che sia una faccenda solo mia. I paesi sono bellissimi, ma i

paesani troppo spesso sono avvilenti. Da qui bisogna partire se ci sta a cuore

interessarci dei nostri paesi. Non bisogna fare sconti a nessuno, ai sindaci e ai

giovani disoccupati. Bisogna essere delicati, ma duri, incoraggiare chi merita di

essere incoraggiato e non dare nessuna complicità al rancore, alla perfidia. Si

tratta di lottare se si vuole cambiare un luogo. I luoghi possono cambiare solo in

peggio se ci affidiamo alle dinamiche naturali. Bisogna seminare il bene, non

stancarsi mai di farlo. Se non lo facciamo poi non possiamo lamentarci di essere

circondati dal male. Nei paesi potrebbe germogliare un nuovo umanesimo. Ci

sarebbe lo spazio per pratiche di vita meno rapinose rispetto alla vita del

pianeta. Gli uomini e le donne potrebbero riabilitarsi al sacro o almeno alla

gentilezza. E mentre scrivo queste cose è come se volessi spingere il terriccio

che ogni giorno mi frana sul cuore. Sì, siamo sotto una frana, ma possiamo

ancora aiutare, aiutarci. Ai buoni è concessa la piccola eternità delle cose

amorevoli.

Ogni cosa amorevole ci sottrae alla morte, ci rende meno accidiosi. Io spenderò

la mia vita fino all’ultimo respiro per avvicinare i generosi, per scavare nelle

macerie alla ricerca di un respiro, di uno sguardo che non vuole morire.

di Franco Arminio | 12 Gennaio 2019

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