PASSO' PER PAESTUM LA VIA DELLA SALVEZZA DEI GIOVANI EBREI

 



di ORESTE MOTTOLA orestemottola@gmail.com
Costò tre giorni di prigione nella caserma dei carabinieri di Capaccio il passaggio per Paestum dell’espatrio in Israele degli ebrei sopravvissuti allo sterminio nazista. “Cinquanta ragazzi fece imbarcare Ada Sereni con il gruppo di Aliàh Bet arrivò il 17 settembre del 1947.
Furono le piste di atterraggio che gli americani avevano creato per rendere più agevole il loro sbarco dell’8 settembre 1943 ad incuriosire gli uomini e le donne del nascente stato di Israele che organizzavano i viaggi clandestini dei sopravvissuti dai lager tedeschi. “Notammo l’aviopista di Seliano passando dal mare”, raccontava la Sereni. Non c’era la pineta e dal litorale si vedeva tutta la zona intorno ai templi. La circostanza fondamentale era anche quella che arrivare da queste parti e fingersi turisti interessati all’archeologia era un’ottima copertura per sfuggire alla repressione feroce degli inglesi . La Sereni, che tutti abbiamo conosciuto per lo sceneggiato “Exodus” da pochi giorni trasmesso dalla Rai, a Paestum venne anche arrestata. Dopo tre notti trascorse nel carcere di Capaccio venne rilasciata con molte scuse. La vicenda è appena accennata nel libro “I clandestini del mare” scritto dalla coraggiosa donna. Paestum verrà scelta proprio quando la via del viaggio via mare diventa impossibile, a causa della brutale ostilità degli inglesi che affondano le carrette del mare sulle quali viaggiano i profughi che vogliono raggiungere Israele. Più volte Cecilia Leone Salati lo ha sentito raccontare l’episodio da suo marito Angelo e dai cugini Bellelli. “La guerra era finita da poco e la contemporanea presenza di trenta ragazzi su un pullmann che visitavano gli scavi ed una bella signora che girava su un’Alfa nera, incuriosirono mio marito ed altri pestani che erano seduti davanti al bar di Vincenzino Voza”, racconta la signora Cecilia. “All’imbrunire i ragazzi del bus e la signora della macchina se ne andarono verso Seliano. Si fermarono ed aspettavano. L’affascinante signora, che poi scopriremo essere Ada Sereni, per giustificarsi scese, aprì il cofano, e si mise ad armeggiare con il motore. In realtà, e fu lei a raccontarcelo trent’anni dopo, bisognava prendere tempo perché il pilota dell’aereo si era ubriacato ed il ritardo sulla tabella di marcia stabilita era notevole. I fratelli Bellelli, tutti provetti meccanici e sicuramente galanti giovanotti, si precipitarono subito per offrire il loro aiuto. La signora ringraziò e rifiutò. Nel frattempo l’aereo arrivò. I ragazzi, con le torce accese in mano, si disposero ai bordi della pista per permettere al velivolo di atterrare e poi di riprendere subito il volo dopo l’imbarco dei giovani. La scena non era sfuggita ai carabinieri di Paestum che niente potettero fare per fermare l’aereo, ma riuscirono a bloccare Ada Sereni ed il suo autista. Della nottata trascorsa in cella a Capaccio lei ricordava l’umanità della moglie del maresciallo dei Carabinieri che l’aveva rifornita di calde coperte e di lenzuola ricamate. L’ordine di scarcerazione arrivò subito, e da Roma, ed alla Sereni furono fatte anche le scuse”. Questa storia sembrava confinata nelle tante leggende pestane se il giovane autista della Sereni in quell’avventura intorno ai templi, divenuto poi capo di stato maggiore dell’aviazione israeliana, non avesse raccontato ad un giornalista “L’Europeo”, che pubblica nel 1973, come quel suo “Exodus” dagli orrori nazisti alla Palestina non avesse avuto quella singolare tappa a Paestum. Era facile alle organizzazioni sioniste americane, che sostennero finanziariamente quei moderni viaggi verso la terra promessa, sapere dove gli aerei potevano atterrare e ripartire. Paestum era uno di questi. Quando Ada Sereni, dopo trent’anni, si decide a raccontare la sua straordinaria storia, torna in Italia per rivedere i luoghi dove aveva operato. Una delle tappe è proprio Paestum, dove è ospite di Villa Salati. “Ebbi così davanti – racconta Cecilia Leone Salati – la protagonista di quella storia che tante volte avevo sentito raccontare”.

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