Rocco Scotellaro ed Amelia Rosselli , storia d’amore e di coincidenze 1950-53 parte da Venezia il bruciante legame tra il poeta contadino e l’inquieta intellettuale


 

E’ BELLA. «Guarda, c’è un posto libero, siediti, ed è bella […] Quando capii il suo nome, non so se mi rafforzò il pensiero […] di innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire […]. E io chi ero? Lo dissi. Mi sapeva. Lesse le mie poesie.  Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri». Siamo a Venezia 22-24 aprile 1950, Convegno su “La Resistenza e la cultura Italiana”, Palazzo del Comune. Da una parte c’è la bella (lo nota e se ne compiace Rocco Scotellaro) figlia di un martire per la libertà, e parente di Alberto Moravia, già mostro sacro della letteratura italiana, dall’altra c’è Rocco Scotellaro, arrivato da Tricarico, provincia profonda della già provincialissima Matera. Rocco non ha ancora scelto tra impegno politico e culturale, poesia e romanzo, il paese e la città. E’ già stato sindaco del suo paese, ne ha guidato le lotte contadine per la terra. L’APOLIDE AMELIA. Lei è Amelia Rosselli (Parigi, 1930 – Roma, 1996),  figlia di Carlo Rosselli e nipote di Nello, figure di spicco nella lotta antifascista. Amelia, poetessa della “generazione degli anni Trenta”, apolide per costrizione, abita in Svizzera, negli Stati Uniti e in Inghilterra. Dal 1948, negli ambienti letterari romani frequenta  i poeti che daranno vita all’avanguardia del Gruppo 63. Il  conflitto mai risolto con la madre segna indelebilmente la sua vita. Ne  assume  il nome, Marion, quasi a voler suggellare un patto d’amore mai dichiarato e desiderato da sempre. Essenziale, nella formazione della sua poetica e nella sua esistenza, il rapporto col padre Carlo da lei stessa definito “evanescente”.  Rocco ed Amelia sono così diversi ma l’amore li porta ad incontrarsi. Lei è la figlia di un uomo simbolo della lotta antifascista, fatto uccidere in Francia dai servizi segreti italiani, quando lei ha solo sette anni. La madre Marion Cave è inglese e attivista del partito laburista britannico. Amelia racconta che quando il padre Carlo viene assassinato vuole che i due figli sappiano come è stato ucciso. Il trauma per una bambina di 7 anni è tanto grande che se lo porterà dentro per tutta la vita.



Da allora Amelia è perseguitata dall’ossessione di essere osservata dai servizi segreti che vogliono ucciderla. Nel 1940 quel che resta della famiglia riparte. Sarà il primo di molti trasferimenti della poetessa che vivrà per quasi tutta la vita da rifugiata. ROCCO, CONTADINO UN PO’ MAESTRO CIABATTINO Invece la famiglia di Rocco Scotellaro è tutta nel mondo contadino. Il padre è maestro artigiano, ciabattino. Così ce lo presenta in una sua poesia: “Mio padre misurava il piede destro/ vendeva le scarpe fatte da maestro nelle fiere piene di polvere./ Tagliava con la roncella/ la suola come il pane/ una volta fece fuori le budella / a un figlio di cane.” E’ “A mio padre”, una storia di un uomo d'altri tempi, non in pace con il mondo, perché il mondo non gli dette pace, traspira fra le righe l'amore per sua la famiglia, e la rabbia verso l'ingiustizia, fatta e subita. E continua a raccontarsi così : “Io sono un filo d'erba/ un filo d'erba che trema/ E la mia Patria è dove l'erba trema. / Un alito può trapiantare/ il mio seme lontano”. Rocco Scotellaro, è nato a Tricarico nel 1923 e figlio di un calzolaio. Tricarico, in provincia di Matera, fu un paese in qualche modo non assimilabile al resto del Meridione e sebbene fossero tutti evidenti gli elementi dell’arretratezza del Sud, pure si sarebbe potuto intravedere, nell’immediato dopoguerra, un futuro economico non disagiato per via dei tanti, esperti artigiani della zona. L’emigrazione degli anni Cinquanta, nel suo flusso inarrestabile, li rese subito straniati operai di fabbrica nel triangolo industriale da contadini che erano stati.

Si può pensare a due realtà così totalmente opposte, così radicalmente distanti? Eppure tra Amelia Rosselli che ancora non aveva scritto nulla e il “poeta contadino” che già scriveva della sua terra e dei suoi affetti, si stabilì un legame fatto di richieste dell’animo. Rocco cercava qualcuno da condurre anche fisicamente a conoscere il suo mondo e le sue storie, da cui ricevere stimoli e incoraggiamenti; Amelia cercava un eden primitivo ed innocente dentro al quale sentirsi a casa, uno spazio rassicurante e protettivo. Entrambi, per motivi diversi, sofferenti di un male inestinguibile, il non potersi legare a radici certe, allontanati di fatto, cantarono in versi quel male, fino a farne motivo di poesia e di vita. A dividerli c’è il mondo di provenienza. «La mamma aveva i capelli gonfi e lucenti. Suo padre era fabbro-veterinario, e sapeva suonare la chitarra. In casa i granai erano pieni per i tanti contadini abbonati per i ferri e le malattie dei muli. Ella aveva la faccia rosa che ho io ora, s’affacciava alla finestra e un giorno mio padre passò e la vide». «Io ero ai primi banchi come tocca ai bravi e ai figli degl’impiegati e dei signori, i soli che potevano portare i capelli. Ero rasato come gli altri, portavo la borsa di pezza come gli altri, solo che io stavo ai primi posti». E c’è l’incontro: “Quando capii il suo nome (parlava con accento inglese) non so se mi rafforzò il pensiero di essere amico e di innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire, che parlava più di tutti in quel convegno. Forse mi innamorava e la veneravo insieme. Sui poggioli delle sedie di ferro i nostri gomiti si toccavano. Pensavo di vederla, alta come me, quando ci fossimo alzati. E io chi ero? Lo dissi. Mi sapeva. Lesse le mie poesie. Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri: ciò che permise uno scambio di sguardi che mi fecero più ardito. Uscimmo insieme. Mangiava al mio stesso ristorante ed era una coincidenza calzante. La presentai a tanti, me la sentivo già mia» Il racconto è contenuto in R. Scotellaro, “Un lago nella memoria”, in «Trasparenze», 17-19, 2003, p. 78 . Era il 1950 e il poeta sentì fortemente l’ingiustizia subita al punto da abbandonare la carica di sindaco e fatto ancora più rilevante, l’impegno diretto in politica, impegno che affidò alla poesia e alla letteratura. Appena tre anni dopo, morì a soli trent’anni per l’occlusione di una vena del cuore. E terminò così la loro storia d’amore.

Si può pensare a due realtà così totalmente opposte, così radicalmente distanti? Eppure tra Amelia Rosselli che ancora non aveva scritto nulla e il “poeta contadino” che già scriveva della sua terra e dei suoi affetti, si stabilì un legame fatto di richieste dell’animo. Rocco cercava qualcuno da condurre anche fisicamente a conoscere il suo mondo e le sue storie, da cui ricevere stimoli e incoraggiamenti; Amelia cercava un eden primitivo ed innocente dentro al quale sentirsi a casa, uno spazio rassicurante e protettivo. Entrambi, per motivi diversi, sofferenti di un male inestinguibile, potersi legare a radici certe, non doversene allontanare e cantare in versi quel male, farne motivo di poesia e di vita. Dopo la morte di Rocco toccò ad Amelia parlare. Lo fece così:

Dopo che la luna fu immediatamente calata
ti presi fra le braccia, morto

*

Un Cristo piccolino
a cui m’inchino
non crocefisso ma dolcemente abbandonato
disincantato

*

Bologna perché t’ho in mente
cosa c’entri
città scadente
cattedrale che dubiti
Non c’è chiesa a Matera
monte roccione con la porticina

*

Sventolo la bandiera e grido
Quanti puttini
sui gironi e
tu puttanone

*

Mondo pollame divenuto malaticcio
duna di morti

*

Mi sforzo, sull’orlo della strada
a pensarti senza vita
Non è possibile, chi l’ha inventata questa bugia

*

Come un lago nella memoria
i nostri incontri
come un’ombra appena
il tuo volto affilato
un’arpa la tua voce
e le mani suonano
tamburelli

*

Avanti io seppi t’eri spezzato
come un bastone d’oro
la costante prudenza
m’aveva fatta cieca
quasi ignara
e tu che mi musicavi attorno

*

Tu che sei addormentato
Comprendimi
Ed ora ti sollevi
lesto
e passi via sereno
fuori dalle mura della tua cittadella
Tu che chiarisci le vie

*

La luna
balla
e sospira
per i campi

*

Rocco morto
terra straniera, l’avete avvolto male
i vostri lenzuoli sono senza ricami
Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!

*

Sposo nel cielo
ti ho tutto circondato
ma sei tu che comandi
e sono tua sposa d’infanzia
sposa trasparente

*

Voglio vivere a Matera
rotta spaziata gigantesca
Non mi muovo
C’è l’amico morto ieri che tiene compagnia
più che voi città false

*

ti dubito
gobba sono
ti affidavi ad altri

*

Poi si gonfierà
il sacco delle lacrime
ma non si spillerà
lo metterò in un vasetto
greco-latino
me lo porterà a casa
trionfante elefante di pena!

*

Bello eri ma troppo fino e troppo caro
bello eri ma troppo fino e troppo caro
ti debbo levar
ti debbo levar
e cerca
la pietra filosofale

*

Come te cavallo di campagna
son imbronciata
ignorantissima
ignata

*

Erba lunga
spianata
per adombrare
terreno marcio

*

Tu salito nella bruma
ti vedo lontano che ti aggiri
consigliando
che ne è di me e di te ora dopo la morte
tu, sui colli

*

Ah buca della morte
ah fossa
che lo attendi
Si aprono gli orizzonti
ch’io veda
e possa intrecciare le dita
senza mestizia

*

Bologna città sciocca
scendetevi dai piedistalli
Si balla a Matera

*

Ahi piccola notte d’agosto
sei tornata a spazzarmi via la strada
bianca,
lucente
sotto la luna protettrice

*

È toccato a te
a soffiar le nuvole
portarle fino al vicinato
come un caldo lenzuolo
per noi tutti ammalati

*

È dovuto ad una varietà di ragioni
che tu ed io non ci si possa incontrare
fra altro le muraglie
i cieli gli spiriti

*

Lasciatemi
ho il battito del cuore
donna a cavallo di galli e di maiali

*

Rocco vestito di perla
come il grigiore dei colli vicino al tuo paese
mostrami la via che conduce
non so dove

*

nuovo anno
arrivi
teneramente
ossequioso


Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro)

1953, di Amelia Rosselli


"Cantilena per Rocco Scotellaro" un inno all'amore intriso di Sud






Una nenia funebre dedicata al suo amato. Mai più Amelia Rosselli ha scritto versi tanto limpidi, intensi, piani. Solo quella Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro) (1953). Rocco Scotellaro è appena morto, Amelia Rosselli parte da Bologna con il treno per raggiungere il suo uomo. Il viaggio è scandito dal rumore della carrozza che batte sui binari. «Mi sforzo, sull'orlo della strada/ a pensarti senza vita/ non è possibile, chi l'ha inventata questa bugia».
Amelia è li seduta. La immagino vicino al finestrino, con il suo sguardo severo e ritroso.
La sua vista è fissa nel ricordo: «Come un lago la memoria/ i nostri incontri/ come un'ombra appena/ il tuo sguardo affilato/ un'arpa la tua voce». Immagina Rocco. Come nella sequenza di un film, appare il primo fotogramma, il loro incontro a Venezia al convegno su "La resistenza e la cultura italiana", aprile 1950.
Rocco è un giovane seducente e brillante, nonostante la sua giovanissima età, appena 28 anni, è già stato sindaco di Tricarico e ha guidato nel dopoguerra le lotte contadine in Basilicata. Manlio Rossi Doria l'ha preso sotto la sua protezione. Il sodalizio con Carlo Levi lo pone all'attenzione del mondo letterario. C'è una fotografia che ritrae assieme Amelia e Rocco, credo sia scattata a Venezia: Rocco in camicia è illuminato dal sole, parla; Amelia è a distanza di fiato, i capelli raccolti alla nuca, il volto e le guance di luce, lo sguardo non si stacca da Rocco: «Sposo nel cielo/ ti ho tutto circondato/ ma sei tu che comandi/ e sono tua sposa d'infanzia/ sposa trasparente». Confessa Amelia: «L'incontro con Rocco Scotellaro è stato fondamentale per la poesia. (...) Attraverso di lui ho scoperto i poeti italiani e ho imparato a scrivere versi in italiano. Non è che non sapessi l'italiano, non avevo l'ambizione di diventare poeta». Ho conosciuto, credo a fine anni Settanta, Amelia, l'ho frequentata nei viaggi a Roma. Poi la invitai in Puglia nel 1983, «v'è stata una lettura in un bellissimo chiostro» insieme con Dario Bellezza per "Poesia in Chiostro". Se ne parla ne I Meridiani a lei dedicato. La raggiungevo emozionato nella sua mansarda in via del Corallo, aveva il mio libricino, Poesia di provincia nello scaffale subito all'ingresso.
Quando ci vedevamo lo prendeva e cominciavano conversazioni inquiete. Non sapevo della sua storia con Rocco. Ne potevo intuire cosa lei vedesse in me: altro ragazzo poeta del Sud.

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