CAPACCIO. "La casa dei sette omicidi", compie un secolo la strage

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Nelle foto: "la casa dei sette omicidi" - la stele nel cimitero di Capaccio   
 

CAPACCIO. La “casa dei sette omicidi”, il più efferato caso di cronaca nera capaccese compie cento anni. Il fatto avvenne il 24 gennaio del 1922. Tre adulti e quattro bambini, barbaramente uccisi una notte a colpi di ascia quando è appena fatto buio. Gli assassini furono individuati, arrestati e condannati all’ergastolo. La casa, è conosciuta come la masseria Palumbo – Marandino, [nessuno delle famiglie è coinvolto], diventerà poi una sorta di “balcone sull’abisso” e “caduta negli inferi” della mente umana. Con il lieto fine di una sopravvissuta: una bambina che ha meno di un anno, salvata dalla mamma, che seppur morente per i colpi ricevuti, riesce a infilarla nel forno (spento) di casa. La mattina dopo è proprio il suo pianto a rincuorare inquirenti e soccorritori: dopo l’orrore la vita si fa sentire. Solo una neonata sopravvisse salvata dalla madre che seppure ferita a morte con le sue ultime forze riuscì a nasconderla in un forno rurale. La bimba si salvò, allevata dalle suore di Capaccio, e visse per 97 anni, per poi morire pochi anni fa… I racconti sui luoghi, da parte dei vicini, sono da horror. Urla umane sentite nella notte, fantasmi che ancora vagavano nella zona, impronte dei palmi delle mani insanguinate in molte parti. Addirittura una stanza risultava murata dagli assassini per impedirne l'accesso. Poi si troveranno tracce di tunnel che partivano dai terreni circostanti. C'è una specie di buca nel terreno che conduce chissà dove, tipo "La casa sull'abisso" di William Hope Hodgson, la casa dei fantasmi. La casa è stata recentemente comprata da una società che è intenzionata a ristrutturarla”. racconta un immobiliarista capaccese. Gli eredi delle famiglie dei protagonisti, vittime e carnefici, vivono nel paese. Tutto sopravvive nella memoria orale e per via del monumentale cippo funerario presente nel cimitero di Capaccio. Nessuno storico locale ha infranto la volontà dell’unica sopravvissuta, che non volle nessun segno di ricordo. L’obelisco che ricorda i fatti, lo volle un sindaco, Longobardo, l’anno dopo i fatti. Antonia, la sopravvissuta, volle proteggere i discendenti dei carnefici: «Non hanno colpe. Perché ricordargli quell’infamia?». La storia è una di quelle a cui si stenta a credere. Storia di emigrazione, una famiglia di contadini che da otre un decennio è affidataria di terreni di amici emigrati in America. Patto basato su una stretta di mano. In mezzo c’è la grande guerra. Subito qualcuno tenterà di impossessarsi di quelle terre. I primi racconti sono da horror. Urla umane sentite nella notte, impronte dei palmi delle mani insanguinate visibili in molte parti. Le tracce lasciate dagli assassini non furono mai cancellate.

orestemottola@gmail.com 

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