La strage di San Gregorio vent'anni dopo. Testimonianze dei giornalisti Siani e D'Amico
Quanto freddo c’era quella notte e poi cadeva la neve. Una ragazza viene svegliata nel cuore della notte perché qualcosa di grave è successo nella sua zona. E’ la corrispondente zonale del Mattino. Gli verrà solo detto che qualcosa di grave è successo in uno dei paesi presepi lì intorno. Verrà da Salerno il fotografo ed insieme andranno a cercarsi dove e cosa è successo. Giungono quindi in località Murgi. Margherita Siani è di Contursi, nell’epicentro del terremoto del 1980 ci si trovò, e da allora c’è davvero poco che potesse spaventarla. Sono le tre di notte, un fotografo coraggioso, Tano Pecoraro, già mezz’ora dopo è sotto la sua casa. Via e si va. Le indicazioni sono ancora sommarie ma ci mettono poco a trovarsi in un vero e proprio inferno. E’ tra Buccino e San Gregorio Magno, nel villaggio dei matti felici. E la vita ti cambia. “Non ti basta una vita per dimenticare l’odore di carne umana bruciata che ti entrava nelle narici”, racconta Margherita che si trovò sbalzata in una notte in uno dei maggiori drammi del nostro tempo. C’era stato sì il terremoto del 1980 ma la sua storia si era sparsa in un’area ed un tempo vasto. Invece l’incendio della struttura per disabili, sia psichici che motori, si era svolto in un punto ben circoscritto forse più vicino a Buccino che a San Gregorio Magno. Lei è di Contursi che non è lontano da San Gregorio Magno, la “giusta distanza” che insegnano nelle scuole di giornalismo è subito annullata. Margherita è dentro al dramma, e che dramma. Dirla con i numeri è semplice ma diciannove bruciati vivi e sorpresi nel sonno somigliano più alle scene dei morti di Hiroshima e Nagasaki che a qualsiasi film horror. “Fuori nevica, i paesaggi sono bellissimi, ma troviamo uno scenario allucinante fatto di fumo e quell’odore. Io provai a difendermi con una sciarpetta messa sul naso ma il mischiarsi del fumo della vetroresina andata a fuoco con l’odore dei corpi bruciati rendeva il tutto irreale. Spaventoso è poco. Poi trovammo pochissimi soccorritori, più che altro sopravvissuti con qualche ustione, poi arrivarono in tanti, soprattutto i vigili del fuoco. Ma per più di mezz’ora io e Tano ci trovammo dentro a quell’inferno che nessuno aveva ancora delimitato e quindi tutto aperto. Capivamo che c’era solo morte e che noi non potevamo fare niente, ma era pure impossibile limitarsi ad osservare neutrali. Furono i minuti più lunghi della mia vita. I nostri cellulari non prendevano. Non capivo, non volevo capire. Piano piano cominciavo a realizzare qualcosa. Sai quando i manicomi vennero chiusi nessuno voleva prendersi i malati. Anzi non li vedevamo neanche. Erano gli invisibili assoluti. A San Gregorio invece reagirono diversamente proponendo di riadattare per questo villaggio donato dai francesi per ospitare i terremotati. E diventarono subito orgogliosi dell’iniziativa e tante furono le attività di animazione, proprio quella sera c’erano state le prove di canto perché il Natale che si approssimava avrebbero fatto la loro recita. I malati erano felici, avevano ritrovato lì una famiglia, si sentivano accettati. Onestamente penso che se ne avessi dovuto allora scrivere, e nessuno me lo chiese, ne avrei detto bene. Dopo è stato facile, lo hanno fatto tutti, metterne in croce i difetti, i mancati collaudi, la carta non firmata… al tempo pure io vidi il sorriso ritornato nelle facce di queste persone che erano davvero ritornate a vivere qui ed invece vi trovarono una spaventosa morte. C’è chi però sopravvisse, uno di loro Giovanni, per tutti “Nino D’Angelo”, è voluto restare a Contursi, adottato dal paese. “Il mio dopo? Sono diventata più attenta al “sociale”, racconta Margherita, è la mia vera “la mia giusta distanza”. GEPPINO D’AMICO: “NON ERA LA NOSTRA ASL”. A Vallo della Lucania era invece Geppino D’Amico, giornalista e addetto stampa dell’allora Asl Sa3. “San Gregorio era nella Sa2, quindi non seguii direttamente i fatti. L’eco era stata tanta che per me cambiò poco. Mi ricordo che nelle mie rassegne stampa, tutte fatte di fotocopie tratte da copie di giornali che compravo in edicola a mie spese, mettevo tutti gli articoli sull’argomento. Anche noi, seppure dal lato cilentano, eravamo chiamati a gestire i poveretti che erano stati cacciati dai manicomi e non riaccolti nelle famiglie. Nella commissione d’inchiesta parlamentare subito varata per appurare i fatti entrarono diversi parlamentari salernitani. La relazione finale la scrisse il capaccese Gaetano Fasolino, allora senatore, che ricordo sempre impegnato sui temi della riforma delle strutture psichiatriche. Era l’8 maggio 2002, è tutta da rileggere e meditare. Posso solo dire che grandi passi in avanti non sono stati fatti ed il settore continua ad avere le solite criticità. Non aggiungo altro.. io sono in pensione”. Una distanza diversa, quella del decano dei giornalisti del Vallo di Diano.
SAN GREGORIO 2/ LA GIORNALISTA CHE ARRIVO' PRIMAIL RACCONTO DI MARGHERITA SIANI. "Io arrivai per prima..."
Quanto freddo c’era e poi cadeva la neve. Una ragazza viene svegliata nel cuore della notte perché qualcosa di grave è successo nella sua zona. E’ la corrispondente zonale del Mattino. Gli verrà solo detto che qualcosa di grave è successo in uno dei paesi presepe lì intorno. Da Salerno sta giungendo il fotografo ed insieme andranno a cercarsi dove e cosa è successo. Margherita Siani è di Contursi, nell’epicentro del terremoto del 1980 c’era, e da allora c’è davvero poco che potesse spaventarla. Sono le tre di notte, un fotografo coraggioso, Tano Pecoraro, già mezz’ora dopo è sotto la sua casa. Via e si va. Le indicazioni sono ancora sommarie ma ci mettono poco a trovarsi in un vero e proprio inferno. E’ tra Buccino e San Gregorio Magno, nel villaggio dei matti felici. E la vita ti cambia. “Non ti basta una vita per dimenticare l’odore di carne umana bruciata che ti entrava nelle narici”, racconta Margherita che si trovò sbalzata in una notte in uno dei maggiori drammi del nostro tempo. C’era stato sì il terremoto del 1980 ma la sua storia si era sparsa in un’area ed un tempo vasto. Invece l’incendio della struttura per disabili, sia psichici che motori, si era svolto in un punto ben circoscritto forse più vicino a Buccino che a San Gregorio Magno. Lei è di Contursi che non è lontano da San Gregorio Magno, la “giusta distanza” che insegnano nelle scuole di giornalismo è subito annullata. Margherita è dentro al dramma, e che dramma. Dirla con i numeri è semplice ma diciannove bruciati vivi e sorpresi nel sonno somigliano più alle scene dei morti di Hiroshima e Nagasaki che a qualsiasi film horror. “Fuori nevica, i paesaggi sono bellissimi, ma troviamo uno scenario allucinante fatto di fumo e quell’odore. Io provai a difendermi con una sciarpetta messa sul naso ma il mischiarsi del fumo della vetroresina andata a fuoco con l’odore dei corpi bruciati rendeva il tutto irreale. Spaventoso è poco. Poi trovammo pochissimi soccorritori, più che altro sopravvissuti con qualche ustione, poi arrivarono in tanti, soprattutto i vigili del fuoco. Ma per più di mezz’ora io e Tano ci trovammo dentro a quell’inferno che nessuno aveva ancora delimitato e quindi tutto aperto. Capivamo che c’era solo morte e che noi non potevamo fare niente, ma era pure impossibile limitarsi ad osservare neutrali. Furono i minuti più lunghi della mia vita. I nostri cellulari non prendevano. Non capivo, non volevo capire. Piano piano cominciavo a realizzare qualcosa. Sai quando i manicomi vennero chiusi nessuno voleva prendersi i malati. Anzi non li vedevamo neanche. Erano gli invisibili assoluti. A San Gregorio invece reagirono diversamente proponendo di riadattare per questo questo villaggio donato dai francesi per ospitare i terremotati. E diventarono subito orgogliosi dell’iniziativa e tante furono le attività di animazione, proprio quella sera c’erano state le prove di canto perché il Natale che si approssimava avrebbero fatto la loro recita. I malati erano felici, avevano ritrovato lì una famiglia, si sentivano accettati. Onestamente penso che se ne avessi dovuto allora scrivere, e nessuno me lo chiese, ne avrei detto bene. Dopo è stato facile, lo hanno fatto tutti, metterne in croce i difetti, i mancati collaudi, la carta non firmata… al tempo pure io vidi il sorriso ritornato nelle facce di queste persone che erano davvero ritornate a vivere qui ed invece vi trovarono una spaventosa morte. C’è chi però sopravvisse, uno di loro Giovanni, per tutti “Nino D’Angelo”, è voluto restare a Contursi, adottato dal paese. “Il mio dopo? Sono diventata più attenta al “sociale”, racconta Margherita, è la mia vera giusta distanza”.
orestemottola@gmail.com
PER APPROFONDIRE http://www.ilquotidianodisalerno.it/2019/12/16/san-gregorio-magno-e-montesanom-la-porta-chiusa-%E2%80%A6-un-unico-destino-per-21-persone-bruciate-vive/
Commenti
Posta un commento