PAESTUM. QUANDO UN FERROVIERE ANTIFASCISTA ACCOLSE MUSSOLINI IN VISITA AI TEMPLI CON UN RITRATTO DI MATTEOTTI



di Oreste Mottola orestemottola@gmail.com

Capaccio, il 25 aprile alla stazione di Paestum si ricorderà il gesto, datato 1935, del capostazione Lorenzo Scanavino che fece quasi prendere un “tocco” a Mussolini in visita tra i templi, affiggendo nella “sua” stazione un grande ritratto di Giacomo Matteotti, il coraggioso deputato fatto assassinare dal Duce. Diversamente si era comportato Amedeo Maiuri che apparse ossequioso ed imbarazzato di fronte a Mussolini. Eppure era il grande e prestigioso archeologo, massimo scopritore e valorizzatore di Paestum e Pompei. Aveva coraggio da vendere il ferroviere socialista Lorenzo Scanavino, locale capostazione, che fece trovare nello scalo una grande fotografia di Giacomo Matteotti. In fretta e furia un silenzio imbarazzato calò sul suo gesto di ribellione. Le foto raccontano. Paestum 6 luglio 1935, un gruppo di gerarchi fascisti accompagna Mussolini durante una visita all’area archeologica. L’occasione è dovuta dal rinvenimento di un podio con rocchi di colonne, capitelli e metope di un tempio italico, in parte spogliato e reimpiegato per la realizzazione del Palazzo arcivescovile di Salerno. Un fotografo, accreditato, immortala la scena: il Duce procede con passo spedito davanti al gruppo, seguito da un uomo in orbace che indica la base del podio, alle spalle un nutrito gruppo di gerarchi con le caratteristiche divise fasciste. Quell’uomo,  intento a descrivere il monumento appena ritrovato,  è il celebre archeologo Amedeo Maiuri.  È lo stesso Soprintendente a raccontare l’incontro e l’imbarazzo con il Duce nel tentativo di imbastire «alla meglio un compendio della duplice vita di Paestum greca e italica».  Qualche ora prima c’era stato  un bel trambusto nella locale stazione ferroviaria per il gesto del capostazione, Lorenzo Scanavino.  A qualche “fascistissimo” ferroviere andò una bella lavata di capo perché non era riuscito a reprimere in anticipo la cosa. Punire Scanavino era praticamente impossibile. La malaria che qui imperava faceva sì che questi fossero luoghi di punizione per il personale ferroviario e la scarsità di manodopera specializzata se vi concentrava i recalcitranti, e neanche tanto paradossalmente, li proteggeva. 


PAESTUM, LA STAZIONE DELLE MERAVIGLIE 



Sembravano tutti orgogliosi della stazione appena ristrutturata.  Ad un primo sguardo vedi un grande tavolo, delle sedie. E’ rivestita con i preziosi marmi di Calacatta, più pregiati del Carrara, ed ha i mobili in ricercatissimo stile classico. Qui c’era la più bella sala d’attesa di prima classe di una stazione ferroviaria italiana è a Paestum. Appena costruita, giusto per la visita del Re e di Mussolini , è stata più volte aperta solo ai viaggiatori d’altissimo rango. Rovinerà tutto il ferroviere Scanavino con la sua “piazzata”.  Il salottino è delizioso. I viaggiatori passano distratti e non colgono il tesoro di gusto che è appena appena velato alla loro vista. Non vi fecero certo accomodare Cesare Pavese che pure si fermò una notte prima di proseguire per il suo confino calabrese. Vi si sedettero gli scopritori di Hera Argiva, Zanotti Bianco, alto due metri e magrissimo, e la Zancani Montuoro che l’accompagnava. Imbocchi l’ uscita e, dopo un viale alberato, a poco più di cinquanta metri si entra dentro a Porta Sirena. Settecento metri a piedi, dentro alla città antica in mano agli abitatori del Sette – Ottocento, toccando le antiche stalle e gettando uno sguardo a Villa Salati, eccoci davanti ai templi. A fare da angolo è “La Taverna delle Rose”, ieri vecchia taverna che rifocillava i carrettieri che dal Cilento si portavano a Salerno. Dopo Scanavino un altro capostazione è stato Nicola Paradiso. Raccogliemmo il racconto del figlio Michele.  “Mio padre, fu licenziato per motivi politici nel 1936, quando il fascismo cadde fu riammesso al lavoro e venne spedito in una località allora classificata come “altamente malarica”. Una Stazione allora punitiva. 

IL DOPOGUERRA ED IL BOOM DEL TURISMO CULTURALE 


La fine della Guerra segnò anche il riavvio del grande flusso turistico verso Paestum degli studiosi e degli appassionati e poi la grande invasione delle “valchirie dattilografe”  teutoniche. A poche centinaia di metri di distanza si producevano le rinomate salse di pomodoro “super Cirio”. Un momento economico importante, viste le potenzialità economiche di un territorio dalla straordinaria feracità. “Mio padre, il capostazione – racconta Michele Paradiso – era “don Nicola” per il suo altruismo, quando non c’era ancora l’Ostello della Gioventù, faceva dormire nella stazione anche i giovani studenti che arrivavano dall’Europa. Molti di loro sono diventati poi delle grosse personalità nei loro paesi e si sono ricordati dell’ospitalità ricevuta. Ci hanno poi mandato delle lettere di ringraziamento”. C’è l’esempio di un presidente della Germania che venuto qui in visita ufficiale che volle rivedere il capostazione che l’aveva alloggiato e Giovanni Wilkens Desiderio (pittore da poco scomparso) che l’aveva accompagnato durante il suo soggiorno pestano. Perchè su quelle poltrone di pelle della prima classe ci potevano dormire in tre – quattro, stendendosi… “Mio padre, contravvenendo alle regole severe, apriva e metteva tutto a disposizione.“, testimonia Michele Paradiso. “Venivano dall’Agro Nocerino. Erano dei poveri disgraziati che per sopravvivere raccoglievano lumache dai nostri campi. Per raccogliere il loro quintale e mezzo di “maruzze” dovevano restare anche una settimana. La notte dormivano nella sala d’aspetto della seconda classe ed utilizzavano i bagni della Stazione. Mio padre consentiva tutto ciò perchè s’immedesimava nella loro condizione e mia madre, la mattina, gli portava il caffè”. Prima ancora c’è il lungo capitolo della “borsa nera” post – bellica: “Tutta la storia del contrabbando è passato attraverso la ferrovia. Loro si servivano dei vagoni bestiame. Dal sud si portava al nord l’olio d’oliva per averne in cambio della farina. I bidoni – aggiunge Michele Paradiso – li nascondevano sotto i respingenti dei treni. Era una guerra continua coi carabinieri e gli agenti daziari. Poi c’era uno scambio continuo con chi abitava attorno alla ferrovia. 

IL WEST ERA QUI 




Non si scialava: ” Agropoli aveva una vita economica grama. Oltre alla pesca, c’era solo un poco di terziario legato a scuole e pretura. Gravitava molto su Paestum. C’erano molte donne che venivano a piedi, camminando lungo i binari, da Agropoli con una cesta in testa. Dentro c’era ago, filo per cucire, pezzi di stoffa, bottoni, cerniere. E poi le alici sotto sale. Le chiamavano le “femminelle” perchè erano minute, basse di statura e camminavano sempre insieme. Si chiamavano Fiorina e Fiorinda. Una delle due aveva un figlio che faceva il palombaro e lavorava al recupero dei mezzi navali affondati durante lo sbarco del 1943. Il ragazzo morì all’altezza del “Raggio Verde” per l’esplosione di una mina. Anche Angelina e Teresina, sempre di Agropoli, facevano la spola tra Paestum ed Agropoli. Un giorno, tra il 1960 ed il 1961, stavano tornando a casa, sempre camminando a piedi lungo la tratta ferroviarie. Anziane, erano stanche e non sentirono il treno che stava arrivando, all’altezza del ponte sul Solofrone finirono sotto tutte e due. Morirono. L’emozione fu grande perchè tutti le conoscevano”. Oltre alle “femmenelle” di Agropoli c’era poi Nunzio con la sua mappatella. Arrivava da Pompei. Il personaggio andrebbe inserito di diritto nella nostra storia della mercanzia. Lui faceva il baratto con le famiglie dei contadini che la Riforma Fondiaria aveva da poco portato qui dal Cilento, da Pontecagnano e Montecorvino. Lui prendeva uova, olio, formaggi, grano ed in cambio vendeva i suoi tessuti”. Il “sindaco” di questo universo era “don Nicola”. Comunista di vecchio stampo, era nato nel 1906, non condivise mai le ire di Blok, rivoluzionario, poeta e bolscevico russo. Uno che considerava Paestum un simbolo da abbattere. 

Dediche: alla cara memoria di Sergio Vecchio e Michele Paradiso 


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