Il "giallo" che ha anticipato il caso Vassallo. "La sirena sotto le alghe”, edito da Piemme, scritto dal medico napoletano Diana Lama/ Le rose di Paestum nascevano sui rovi/ Quel cromo esavalente disperso nei nostri campi/ Quel cromo esavalente disperso nei nostri campi/ in cilento, dove il fico secco vale tanto/ Rofrano. Comune afferma di essere stato truffato dalla Bio For Energy per il taglio dei boschi comunali/

 Il "giallo" che ha anticipato il caso Vassallo. "La sirena sotto le alghe”, edito da Piemme, scritto dal medico napoletano Diana Lama



La moglie lo ha abbandonato, a tressette gioca male, i videopoker gli fanno girare le palle, non ama gli alcoolici ed ama i libri. Ecco l’identikit del maresciallo dei carabinieri Santomauro, comandante della stazione di un piccolo e assolato centro di villeggiatura del Cilento dove si riconoscono Pioppi ed Acciaroli. La quiete vacanziera è turbata dal ritrovamento di un corpo di donna, orrendamente sfigurato e mutilato, nascosto sotto un grosso mucchio di alghe sulla spiaggia. Il maresciallo è incaricato delle indagini, che si rivelano subito difficili. Una volta identificata la vittima deve entrare nella piccola comunità dei villeggianti di lusso del paese, quelli che possiedono le ville più belle, nascoste tra la vegetazione ed affacciate a picco sul mare. E' tra loro che va cercato l'assassino, tra gli amici di questa signora bene napoletana con troppi soldi e molto tempo per decidere come rendere infelici gli altri. Tutti la odiavano, il marito, le amiche intime, i compagni di bridge e gli ex fidanzati, ma chi l'ha uccisa?
E’ la trama di “La sirena sotto le alghe”, Piemme, 302 pagine, di Diana Lama, medico e ricercatore universitario napoletano. Il paese, con la gente del posto che qualcosa ha visto, qualcosa sa, ma non parla, e Valentina, una donna affascinante, elusiva ed inafferrabile, che occupa fin troppo i pensieri del maresciallo Santomauro. Poi una nuova morte, ancora sulla spiaggia: Samir, un bellissimo uomo di colore che vendeva vestiti e bijotteria alle bagnanti, e forse intratteneva anche altri commerci. I sospetti sono molti, a partire dal medico legale che le ha fatto l'autopsia. C'è Regina, la signora della Rocca, Olimpia, una benintenzionata beghina, e poi un gesuita troppo affascinante, una burrosa e bionda creatura elevata dal matrimonio al rango di signora, un appassionato di spose orientali ed un altro che preferisce le adolescenti acerbe, e un arrogante giornalista con poco talento. E l’intellettuale snob non snob: “Questo era del tipo peggiore, l’intellettuale che legge gialli, l’amante della natura con villa miliardaria, il fustigatore delle mondanità altrui pronto a vendersi le mutante per comparire in televisione”.
L'indagine passa dagli assolati paesaggi cilentani ai segreti di persone che non sono ciò che vorrebbero essere. Una storia di follia e di morte che affonda le radici nel passato di tutti.
Santomauro entra in un mondo di contrasti, tra luce ed ombra e persone che se non hanno ucciso materialmente Elena sono però capacissimi di massacrarla con le parole.
Oreste Mottola
Le rose di Paestum nascevano sui rovi
di Oreste Mottola
Le rose di Paestum germogliavano da rovi appositamente innestati. “Ipotesi ardita e fascinosa” chiosa Giovanni Guardia, direttore responsabile degli “Annali storici di Principato Citra” la prestigiosa rivista di storia che per prima (nel fascicolo del Tomo 2/2010, anno VIII n.2002) ha reso note le conclusioni alle quali è giunto Fernando La Greca, certosino studioso di storia romana in forza all’università di Salerno. Un’ipotesi che potrebbe continuare ad appartenere alla speculazione intellettuale se Filomena De Felice, esperta d’innesti, che opera nel tempo libero nel suo bel giardino in collina ad Agropoli, a pochi chilometri da Paestum, dove non mancano le siepi di rovi, non avesse avviato degli esperimenti per verificarne la fondatezza dell’ipotesi formulata da La Greca. Il risultato? Una rosa centifoglia, non molto profumata, ma di un colore rosa intenso, ma molto grande. E’ questa la rosa di Paestum? Certo è che c’è il riscontro di fatto a un’ipotesi ancora intellettuale e la risposta all’interrogativo sulla quasi improvvisa sparizione di una varietà di fiore sulla quale l’antica Paestum fondò la sua sussistenza economica. Quella “rosa bifera”, detta così perché fioriva due volte nell’anno, era un ibrido che – se non curato manualmente dal coltivatore – era destinato a ritornare rapidamente allo stato naturale di partenza. Che possa essere andata effettivamente così lo racconta anche “L’affresco con rose” che troviamo a Pompei, nella Casa del bracciale d’oro. Qui la pianta di rosa è sostenuta da una canna, più o meno come i contadini fanno oggi con le coltivazioni di fagioli o di pomodori. La pianta di rovo, abituata ad andare per conto suo, doveva essere necessariamente ordinata così, anche per rendere più facile la raccolta. Di particolare interesse il metodo seguito da La Greca. Il ricercatore ha ripassato tutte le fonti disponibili fino ad avere “l’illuminazione” a partire da un brano di uno scrittore tardo latino: Ennodio: “L’attività operosa dei pestani fece sì che i cespugli spinosi (dumeta) generassero rose, le quali mediante il lavoro germogliano dagli spini come stelle dalla terra”. Ennodio è un personaggio particolare, è vescovo di Pavia al tempo di Teodorico, scrittore di grande erudizione e amante della letteratura pagana. La sua intuizione è stata quella rileggere alla lettera lo scritto di Ennodio sulle rose di Paestum, e non più metaforicamente, e traducendo in modo più preciso dumeta con “cespugli di rovi”. I Pestani non innestavano semplicemente le rose tra di loro, “operazione tutto sommato – scrive La Greca – banale, ma sui rovi, o, se si vuole, su arbusti spinosi della stessa famiglia (rosacee)”. Continua La Greca: “Il colore è di un rosa intenso, e manca il profumo; ancora non siamo in grado di stabilire se sia bifera, per quanto a ottobre abbia messo fuori una nuova gemma con foglioline. Molto dipende anche dal genere di rosa usato come innesto, e bisognerebbe fare numerose prove con rose diverse. Tuttavia pensiamo di essere sulla buona strada, avendo dimostrato che l’innesto della rosa sul rovo è possibile, e valido anche rispetto alle antiche esigenze commerciali, trovando la sua convenienza nella produzione di una rosa di notevole grandezza, bella a vedersi e ricca di petali. Non sarà ancora la rosa Pestana antica, ma almeno pensiamo di aver ritrovato l’antico modo di lavorare Pestano, il particolare labor o industria che diede a questa rosa una fama imperitura”. Fin qui la testimonianza di Fernando La Greca. Sulla questione della “sparizione” di questa rosa così particolare si sono misurati fior di storici e letterati (da Corrado Alvaro a Eugenio Montale) e a noi piace ricordare il grande romanziere Riccardo Bacchelli (sì, quello del “Mulino del Po”) che il 7 ottobre 1927, su “La Stampa” pubblicava il suo elzeviro intitolato “Rose di Pesto” : “Lungo tutta la costa amalfitana ed oltre, in molte regioni del Mezzogiorno, si dicono le rose di Pesto per dir la cosa più olezzante e più colorita. Si vuol che i naviganti le sentano odorare fin in mare, e che siano tanto rosse da parer nere. Eppure, a Pesto, celebrata per le sue rose da Virgilio e da Ovidio e dagli altri poeti latini, rose né rosai non se ne vedono, neppur la minima apparenza. Fioriscono peraltro nella memoria e nella parlata del popolo, e veramente non son morte. La sventura e le rose di Pesto vincono ugualmente l’oblio e la caduta dei secoli”. Dall’oblio ha trovato la via per farle tornare, rileggendo gli antichi scrittori, Fernando La Greca.
LA SCHEDA. Le rose di Paestum erano famose nell'antichità per qualità e profumo. Virgilio, Properzio, Ovidio, Marziale e altri parlavano di rosai coltivati a Paestum. Le caratteristiche tipiche delle rose pestane sono il colore rosso, il profumo ed il fiorire due volte all'anno. Nell'antichità, a partire dal I secolo A.C., a Paestum c'erano ampie distese di colture di rose su terreni fertili che venivano coltivate da persone esperte. Il commercio delle rose era basato probabilmente su rapide navi di trasporto che assicuravano la freschezza di tali fiori. Roma era una delle città che più acquistava rose di Paestum. Le rose erano utilizzate anche per produrre profumi.
Quel cromo esavalente disperso nei nostri campi
L’operazione “Chernobyl” svela uno scenario inquietante. E’ una storia che abbiamo già visto in un bel film di Steven Soderberg ed ora ci tocca farci i conti da vicino. Tra le sostanze più inquinanti è il cromo esavalente che penetra nelle falde acquifere. Falde che a loro volta vengono utilizzate per annaffiare i prodotti agricoli. Provocando tumori e leucemie. E’ il liquido velenoso che finisce nell’acqua bevuta dagli abitanti di Hinkley, California. E’ il nemico contro il quale lotta Julia Roberts, nei panni della coraggiosa Erin Brockovich, segretaria di un avvocato, che scopre lo scandalo del secolo. Un’interpretazione da Oscar. Degna di “Chernobyl” il meccanismo d’azione della gang che ha operato nelle nostre zone. Era più o meno questo: occorreva cercare proprietari di terreni per convincerli ad ospitare decine di quintali di sostanze ufficialmente travestite da concime organico. Poche centinaia di euro all’agricoltore a fronte di migliaia che andavano all’organizzatore del traffico. Per due anni il gruppo ha operato nelle campagne di Altavilla Silentina, Capaccio, Albanella e Controne. Ed ogni volta che i carabinieri o i vigili urbani procedevano al sequestro l’Arpac difficilmente riusciva a chiarire la natura dei rifiuti sversati sul terreno. Sofisticati tecnici avevano già agito a monte miscelando quantità di rifiuti speciali con innocui scarti di industrie alimentari. E così i sindaci, nella loro qualità di autorità sanitarie, e fra gli allarmi della popolazione, dovevano correre ai ripari ma senza armi legali efficaci. A Controne l’iniziativa più decisa: un regolamento ferreo impedisce di spargere su quei terreni materiali che non siano stati ufficialmente certificati come concimi. L’estate scorsa, ad Altavilla Silentina, furono i vigili urbani a sequestrare un vasto appezzamento di terreno sorprendendo gli smaltitori mentre scaricavano. Da questo punto in poi c’è un cambiamento nelle modalità d’azione: nei terreni venivano scavate grosse buche ed i rifiuti venivano subito interrati con le ruspe. Nessuno avvertiva più odori strani, il meccanismo è ripartito alla grande. L’ultima impennata c’è stata una settimana fa quando uno degli indagati affronta a muso duro il segretario di Rifondazione Comunista di Albanella, Giorgio Mottola. Quest’ultimo è “reo” di aver fatto stampare un manifesto critico sulle sue attività. Ora si aspetta che inizino le operazioni di bonifica. Chi li pagherà?
LE FOTOGRAFIE
Nelle fotografie pubblicate dimostriamo come a poche centinaia di metri dal fiume Calore e sotto l’incantevole scenario degli Alburni una banda di scellerati avevano collocato una discarica di prodotti pericolosi. Fu l’intervento dei vigili urbani di Altavilla Silentina ad interrompere lo scarico. Roberto Saviano l’aveva già scritto in uno degli ultimo capitoli del suo “Gomorra: ”Le terre erano cariche di cromo esavalente. Se inalato, si fissa nei globuli rossi e nei capelli e provoca ulcere, difficoltà respiratorie, problemi renali e cancro ai polmoni. Ogni metro di terra ha il suo carico particolare di rifiuti”. Il cimitero segreto delle scorie industriali è nelle nostre placide campagne, entra nelle falde freatiche. Nell’acqua.
Oreste Mottola
xQuel cromo esavalente disperso nei nostri campi
Posted: 18 Jun 2011 02:04 PM PDT
ORESTE MOTTOLA
Non devono pagare un vero canone d’affitto. Dovranno corrispondere solo un equo canone quasi simbolico. Un prezzo politico, insomma. Perché hanno continuato la tradizione secolare di piantare alberi di castagne da frutto, della varietà marrone, oggi insignite del marchio Igp, sulle terre da secoli considerate comuni. E così acquisendo il diritto a raccoglierle, non solo vita natural durante ma anche con il diritto di conferirle agli eredi. E chi può, e vuole, può farlo dove ritiene opportuno. Senza, ovviamente, ledere i diritti di altri. Lo ha deciso il Tar di Salerno, seconda sezione staccata, presieduta da Luigi Antonio Esposito pronunciandosi sul reclamo di un bel nutrito di castanicoltori chiamati dal comune di Magliano Vetere a pagare un importo annuo di 54.562 euro. In gioco ci sono 18.420 piante che da tempo immemore sono gestite prevalentemente da agricoltori della confinante Roccadaspide sul crinale di Monte Soprano. In tempi grami per le casse comunali un riadeguamento del prezzo di fitto sarebbe stato assai comodo per il municipio di Magliano Vetere. La decisione, pur ratificata dagli organi superiori regionali, il settore primario dell’assessore all’agricoltura, è stata impugnata dagli interessati. Questi ultimi sono andati dagli avvocati Antonio e Valentina Brancaccio affinchè facessero valere le loro ragioni. Il regolamento comunale in materia di usi civici del comune di Magliano Vetere che aveva fissato un nuovo prezzo per l’affitto dei boschi di castagno è stato ritenuto nullo in virtù dell’applicazione di questa norma dal sapore ottocentesco. Che non considera chi oggi raccoglie le castagne non veri e propri imprenditori ma semplici continuatori delle tradizioni di piantare o innestare alberi nelle terre comuni. Attività che contribuisce, in maniera molto efficace, al mantenimento degli equilibri idrogeologici. Impedisce distruttive frane che potrebbero investire i vari paesi sottostanti. Furono gli abati di Cava a stabilire questa regola in origine portata dai monaci basiliani. Pianta, e i frutti sono i tuoi. Il Tar nella sentenza enuncia anche un principio che può avere sviluppi. “L’attività di piantare nuove piante – scrive il presidente Luigi Antonio Esposito – su area a uso civico, attività che peraltro è perfettamente collimante con la natura del suolo (…) non è in alcun modo vietata”. Castagna qui vuol dire tanto. Roccadaspide è il paese italiano che assicura le maggiori quantità prodotte. Nell’avellinese ci sono i migliori impianti e i migliori commercianti. Ma nella formazione della ricchezza locale il settore conta ancora molto. Diventano castagne secche, farina, crema, liquore, cioccolatini e castagne sotto sciroppo. Salvate le tasche grazie alla decisione del Tar, il pericolo quest’anno sia chiama Cinipide galligeno. Arriva dall’oriente e devasta i castagneti. Il parassita arriva dal Giappone. I primi dati sul raccolto di quest’anno indicano perdite e danni alle piante secolari. La lotta chimica, oltre che dannosa per l’ecosistema, appare di difficile attuazione. Così la speranza dei produttori locali è affidata a un altro piccolo insetto, il Torymus Sinensis Kamijo — anch’esso proveniente dall’oriente — che in gergo i castanicoltori chiamano tra di loro «Tora Tora». E’ l’antagonista naturale. Il Cinipide è arrivato in Italia attraverso delle gemme importate dall’oriente e utilizzate dai vivai piemontesi per gli innesti. Problematica ancora in corso di definizione, nonostante gli impegni dell’amministrazione provinciale di Salerno e del Parco del Cilento. Sì, perché i castagneti sorgono tutti nelle aree protette e quindi con limitazioni all’utilizzo di sostanze chimiche o immissione di di fauna proveniente dall’esterno. Le cifre, fornite dalle prime ispezioni, sono allarmanti: a Roccadaspide, su campioni di alberi di castagno sia a frutto che cedui, le percentuali di infezione variano tra 20 e 100 % . Nei comuni della fascia pedemontana degli Alburni come Sicignano degli Alburni e Postiglione le percentuali di infezione raggiungono il 100%, ma anche altri territori come quelli di Felitto e Ottati ormai sono interessati da nuove infezioni da cinipide galligeno, dove la percentuale di galle presenti ha raggiunto punte del 50 %.
in cilento, dove il fico secco vale tanto di Emanuele Coen
Posted: 18 Jun 2011 01:58 PM PDT
AGROPOLI (Salerno). Dalle colline coperte di alberi di fichi, nella sua tenuta di Torchiara, Giuseppe Di Fiore allunga lo sguardo fino al mare. All'orizzonte c'è Agropoli, una delle spiagge più belle del Cilento. A pochi chilometri Pollica, la città di Angelo Vassallo, il sindaco ucciso dalla camorra il 5 settembre 2010.
Per il secondo anno consecutivo, la Guida Blu di Legambiente e Touring Club ha assegnato al borgo (insieme a Acciaroli e Pioppi) le cinque vele e il primo posto nella classifica delle località balneari italiane. Una delle coste più incontaminate della Penisola, quasi cento chilometri fra Paestum e Sapri, tutelata dal Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, patrimonio mondiale dell'umanità Unesco. E costellata di antichi templi costruiti dai coloni greci, che prima del sesto secolo avanti Cristo cominciarono a piantare qui i primi alberi.
Rofrano. Comune afferma di essere stato truffato dalla Bio For Energy per il taglio dei boschi comunali
Posted: 18 Jun 2011 10:09 AM PDT
Al centro della questione il contratto di affido alla società Bio For Energy di un contratto di manutenzione boschiva e per il taglio dei boschi nel comune cilentano. Da allora, ed era il 2008, l’azienda non ha onorato il contratto posto in essere e nella fattispecie non ha corrisposto la totalità del canone dovuto, nei tempi e nei modi cui si era obbligata. A questo punto l’amministrazione civica guidata dal sindaco Toni Viterale attraverso la Delibera di Giunta n° 89 dello scorso 9 giugno, ha dato mandato ufficiale allo studio legale dell’avvocato Aida Cammarano, del Foro di Vallo della Lucania, per espletare le dovute e necessarie attività giudiziali per il recupero delle somme dovute. Una vicenda particolare che si arricchisce oltremodo del diniego da parte della compagnia di assicurazione di versare la cauzione stabilita da contratto e che la stessa ha ricusato il dovuto e spontaneo adempimento. “Nonostante tutti gli sforzi compiuti sino ad ora per convincere l’azienda a versare quanto dovuto alle casse comunali e vista la ricusazione da parte della compagnia di assicurazione che aveva sottoscritto le obbligazioni di garanzia, siamo dovuti ricorrere in extremis alle vie legali al fine di ottenere quanto doverosamente spetta alla nostra comunità per i servigi che in perfetta buona fede avevamo inteso affidare all’azienda Bio For Energy” ha dichiarato il sindaco Viterale.

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