Nicola Di Novella, il farmacista che ridà vita alle vecchie piante medicinali ORESTE MOTTOLA



di ORESTE MOTTOLA 

“Sono partito dalle specie medicinali coltivate nelle città medievali fortificate, usate per far fronte alle necessità nutritive e sanitarie nei periodi di assedio”. Padroneggia come pochi medicina, botanica e storia  Nicola Di Novella, farmacista di Sassano, ricercatore appassionato di biodiversità alle quali permette di continuare a vivere, conservandone il germoplasma.  Presso la sua “bottega” fanno capo finanche studenti di medicina americani per approfondire i loro studi sulle erbe mediche. 

Nelle sue collezioni il punto forte sono le erbe per uso medicinale, un campionario di erbe utilizzate per l’uso domestico (per pulire, deodorare, tingere e per la cucina), una scaffalatura con ciotole in terracotta contenenti erbe ed essenze vegetali dell’etnobotanica e della fitoterapia. In Di Novella c’è l’aspetto del farmacista di stampo antico, galenico, è pronto a stupire con preparazioni moderne di fitoterapia, di aromaterapia, di gemmoterapia, di floriterapia, con tinture madri, olii essenziali e fiori di Bach.  Gran parte della sua opera si svolge a Teggiano dove anima diverse iniziative e dove presto farà sorgere, presso il Convento della Pietà, l’ “Orto dei Semplici” con un viridarium dove poter far nascere le piante della zona. L’ultima sua mostra, a SanMauro Cilento, ha schierato cento varietà di mela, dodici di noce, 84 di fagiolo, una dozzina legumi diversi, 24 di granturco, 21 di grano, due varietà di segale, tre di orzo e una di avena, più altre cose delle nostre terre. Il fiore all’occhiello è anche è una particolare varietà di patata rossa da lui riscoperta e che la Pro Loco di Sassano ha rimesso in coltivazione con conseguente sagra. Nicola Di Novella, naturalista di valore, ama definirsi un geobotanico.  Dopo aver organizzato la valle delle orchidee a Cassano e la riscoperta delle piante medicinali che crescono attorno al monte Cervati, ora si occupa delle piante coltivate che l’agricoltura l’industrializzata si mette alle spalle semplificando e imponendo gli ibridi delle aziende sementiere americane e olandesi.  Si va dal pane di jurimano, fatto con quella segale che arrivò a seguito delle invasioni barbariche al grano carosella. “Con lo jurimano – racconta – erano ricoperti i nostri pagliai di una volta. Si trattava di un particolare elemento architettonico oggi purtroppo scomparso perché non è più coltivata la materia prima”.  Il più grande deposito spontaneo di della nostra diversità botanica è proprio nel Vallo di Diano e in particolare nel comune di Monte San Giacomo dove c’è la una grande superficie montana ancora coltivata, magari da contadini tutti molto in là con l’età. “Da tempo la programmazione agricola regionale ha deciso di fare a meno di quelle patate e di quei fagioli – denuncia Di Novella – e così assistiamo inermi all’omologazione anche dei sapori e degli odori. Un vero delitto…”.  Ortaggi e frutta di una volta strappati dalle nostre tavole, uno scippo di salute ed identità.

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