ALTAVILLA SILENTINA. IL FRONTE DELL'ARCHEOLOGIA E' ANCORA APERTO

 




PERCHE' ALTAVILLA DEVE AVERE IL SUO MUSEO ARCHEOLOGICO.
Ho proposto (da almeno un decennio) di formare un tavolo tecnico per arrivare a realizzare il sogno di un antiquarium (piccolo museo di tutti i reperti archeologici trovati a Altavilla) che utilizzi le stanze al piano terra, attualmente libere, della casa comunale di Cerrelli. L'investimento è sicuramente alla portata della nostra comunità e potrebbe essere in gran parte recuperato con le procedure del cosiddetto "Art Bonus" governativo, leggi alla fine per saperne di più. Ho ricevuto finora poche risposte, mi hanno colpito i "benpensanti" che si arrampicano sugli specchi, per confutare la tesi (che io vorrei fosse vera) che non crede a che molti oggetti si siano ormai definitivamente involati nei circuiti del mercato clandestino dell'arte, o meglio contrabbando. C'è un altro filone, che è quello della "dissipazione/regalo" che chi frequenta certi "giri" conosce bene, ovverossìa la consuetudine dell'omaggiare chi si ritiene "sensibili" con piccoli oggetti, tratti da scavi, dei quali si farà poi sfoggio nel salotto o meglio nello "studio" del colto di turno. IO NON MI ARRENDO, la storia di Altavilla non merita di essere dissipata o fatta oggetto di commerci, nascosta nei depositi. IO CONTINUERO' A PORTARE AVANTI QUESTA BATTAGLIA. (nella foto, sono stato "beccato" al telefono in uno dei templi di Paestum)
ARCHEOLOGIA. 1894, si scoprono tombe simil Tuffatore al Feo di Altavilla
L’11 maggio del 1894 Pasquale Guida, “custode delle rovine di Paestum”, accompagna l’archeologo Luigi Viola in località Feo, nei dintorni del Real Sito di Persano ed il comune di Altavilla, già diventato Silentina. Guida ha già scritto numerose relazioni alle autorità ed 25 aprile era stato a Napoli per riferire. Gli antefatti: già 1856 il Calore rodendo la ripa del Feo scoperse delle magnifiche tombe colorite di rosso: in una era un dipinto a fresco rappresentante un cocchio, una melagrana e un gallo in lotta con una biscia. Seguitando a scavare, fu trovato, fra due tombe una copiosa sorgente d’acqua, dentro le tombe una lancia ed un morso da cavallo, degli affreschi rappresentanti due guerrieri nudi, combattenti con lance, poi un leone ed un gallo innanzi ad un grappolo d’uva e a una melograna; in un angolo un veicolo in forma di curriculus oraziono; in un altro una cicogna nerissima”. Così i fratelli Ferrara nel loro “Cenni storici su Altavilla Silentina”, stampato nel 1898, commentavano la loro straordinaria scoperta archeologica. Ma a scatenare la fantasia collettiva, e q uindi anche l’attenzione delle autorità, è ciò che la scoperta del 1893, fatta dal contadino Antonio Di Masi, con la venuta alla luce della statuetta poi detta della Madonna della Neve. Come ha già raccontato Nadia Parlante (La collina degli ulivi, 1985) “vennero alla luce due tombe, poi la stanza sotterranea, la statuetta della Madonna (in realtà si trattava di due chiodi di ferro uniti dall’ossido). Passato il primo momento di febbrile concitazione, però il silenzio calò su quei tritrovamenti e ci si è dovuti accontentare delle indicazioni vaghe, se pur preziose, degli storici locali e di coloro che avevano avuto la fortuna di essere presenti agli eventi. “Ma quali fossero le sembianze delle figure – scrive la studiosa di Matinella – contenute in quelle “magnifiche tombe colorite di rosso” descritteci dai Ferrara, di quei guerrieri, di quel cocchio, la maggior parte di noi, almeno fino a quel momento, ha ignorato”. Una vera fortuna è stata l’aver ritrovato la relazione dello scavo, firmata dall’archeologo Viola. Lo scritto è corredato da disegni che documentano l’ineguagliabile bellezza di quei misteriosi affreschi tombali che Viola non esitò a definire di ottima fattura: “Niente di più elegante; per verità di disegno e per sicurezza di esecuzione, questo affresco ricorda i buoni tempi dell’arte greca”. Quando Viola arriva tutti i ritrovamenti sono a casa di Antonio Di Masi. Il racconto inizia con la descrizione del luogo: “In una campagna del territorio di Altavilla Silentina, trovasi fra le altre, una distesa di colline, che verso oriente finisce con la Tempa Feo. Essa è a breve distanza, circa 50 metri, e ad occidente del Calore e guarda da questa parte il bellissimo bosco della R. Tenuta di Persano. In essa sono avvenute le scoperte di cui si sono occupati parecchi giornali di Napoli”. Riferendosi poi ai ritrovamenti il Viola afferma: “Le tombe sono due. Si parla pure di una terza, della quale però non esiste alcun vestigio. Sono l’una l’una presso l’altra con la distanza di circa un metro, e sono ambedue disposte nella direzione da settentrione a mezzogiorno. La costruzione è ugualmente solida e regolare, ma una di esse nell’interno è molto splendidamente decorata, mentre l’altra è rozzissima. Si direbbe la tomba di un signore accanto a quella di un servo, anche perché nella prima furono trovati molti oggetti e nella seconda nulla. La tomba migliore è di forma rettangolare e col coperchio a schiena ripida. E’ costruita da sei lastroni di tufo compatto. Le dimensoni sono le seguenti: lunghezza interna m.1,95; larghezza m.1,00; altezza m 0,92. La costruzione è semplicissima con il predominio però dei grandi blocchi; il che vuo, dire che la tomba non era delle più comuni.
Ma la sua importanza deriva soprattutto dalle decorazioni delle pareti interne. Sul fondo color latteo, formato da intonaco finissimo, sono eseguite le figure a colore e a semplici tratti di color nerastro. Nella parte ad oriente una zona larga di m. 0,40 per due terzi è occupata da guerrieri ignudi, l’uno contro l’altro in atto di combattere. Portano la galea con criniera e paragnatidi, il cingolo e le cnimides; sono ornati di clipeo e di asta.
Nello spazio che li separa pendono dall’alta due bende, e sul terreno sta una melagrana. La scena si completa con una figura muliebre ferma sulla gamba sinistra, lasciando la destra in abbandono, e rivolta verso i combattenti. Essa è vestita da un chitone lungo e succinto, con l’imation che le si annoda sugli omeri, e porta in testa un’idria reggendola con la mano destra. Nel campo, alle sue spalle, è dipinta un’altra melagrana. I guerrieri sono dipinti di rosso; ma tutta la figura è orlata da tratto nero, mentre la figura muliebre è disegnata con tratti neri con qualche coloratura nelle semplici pieghe della veste. Nell’altra parete lunga è invece rappresentata una quadricromia guidata da una nike altata. Dinanzi, ad una certa distanza dai cavalli, esistono ancora le tracce di una colonna. I cavalli sono in movimento eguale ed unifrorme; di tre si vede soltanto la parte anteriore mentre del primo a sinistra si vede tutto il corpo. Niente di più elegante. Nella parte nord sono invece raffigurati due animali: un leone il quale si avanza con la testa alta verso un ibis, che in posa di lotta solleva il corpo sveltissimo ed il lunghissimo collo, e con il becco adunco attende l’avversario. Il leone monocromo gialletto, l’ibis disegnato a tratti neri. Nel triangolo superiore poi della stessa parete un gallo in color rossastro si avanza a beccare un grappolo di uva nera fra decorazioni e fogliami: dietro di essa ancora una melagrana. E’ deplorevole la condizione in cui si presentano le descritte decorazioni; se si fosse giunti in tempo si sarebbe salvato un bellissimo monumento greco, poiché a mio modo di credere questa tomba è greca e deve rimandarsi al III secolo av. C.”.
IL GIALLO DI ARCHEOLOGIA
Quei cinturoni di Altavilla collezionati dal primo Rodolfo di Puccini
Tesori beni comuni diventano fortune altrui. Il mercato clandestino dell’archeologia
Come erano arrivati quei cinturoni da Altavilla a Trastevere nella più incredibileincrebile collezione archeologica d’Italia? Trovati nel 1937 a Scalareta di Altavilla riappaiono nei nove piani del palazzo del tenore Gorga a Trastevere, Roma. Il tenore preferito da Puccini, il primo a impersonare Rodolfo. Una storia che mi ha fatto scoprire una giovane professionista locale che, per il momento, non nominiamo perchéperchè non ho avuto il suo consenso alla divulgazione. Una storia da film che ne apre tante altre e ci srotola, senza preamboli, il tema della conservazione integrale di ciò che si è rivenuto nelle campagne di scavo. Questione che, soprattutto a Paestum, assume i contorni della leggenda e pretende di riscrivere diversamente le storie dell’accumulazione primaria di alcune fortunate dinastie imprenditoriali. Per il mio paese la dimensione è diversa e mai finora era stata affacciata.
I SOSPETTI: Il passaggio automatico verso lo Stato di ciò che sotto la terra veniva trovato “doveva” metterci al riparo dai flussi di commercio clandestino degli antichi reperti. E invece no, è proprio dall’ufficialità del catalogo di una mostra sui cinturoni militari dei soldati romani che arriva la prima conferma al sospetto che vede molte dei reperti delle antiche vestigia altavillesi dispersi chissà verso dove, forse anche a Malibu dove c’è la collezione del Getty Museum.
IL VIAGGIO DEI CINTURONI. Resto al focus della mia narrazione. La storia dei cinturoni che portavano i soldati delle popolazioni italiche meridionali del III secolo, ottimamente descritti dall’archeologo napoletano Domenico Mustilli nell’ultimo anno nel quale è funzionario delle Antichità e Belle Arti diventando poi un riverito professore di Archeologia all’Università di Napoli di seguito incaricato dal fascismo di dirigere la missione archeologica italiana nell’Albania che stava per essere invasa. Parla anche di quelli altavillesi, trovati soprattutto a Scalareta, la nostra frazione più vicina a Albanella. E’ grazie alle precise note di Mustilli che tra i Cinturoni italici della Collezione Gorga riemergono quelle “cose nostre”, succede grazie a Sannibale Maruzio, autore di uno studio particolareggiato finanziato dai francesi, reperti per per fortuna passati allo Stato italiano, per via dello stratosferico debito con l’erario accumulato da Evan Gorga, dovrebbero essere addirittura essere restituiti a coloro ai quali sono stati predati dal ricco mercato antiquario all’epoca fiorente più oggi. Reperti che avrebbero dovuto essere nei musei di Salerno o di Napoli.
PERCHE' SERVE UN PICCOLO MUSEO LOCALE. La vicenda autorizza subito un’altra domanda, questa sì dagli esiti inquietanti, su quanto del ricco corredo di oggetti archeologici emersi da vari scavi, sempre casuali, dalle nostre campagne sia oggi catalogato e disponibile al Provinciale di Salerno o al Nazionale di Napoli. Ma se il nostro comune non si è mai posto finora il problema di un luogo adatto alla sicura conservazione e all’adeguata valorizzazione (sì, il piccolo museo - antiquarium) il mio punto di domanda è sicuramente retorico e velleitario. Mi auguro solo, a questo punto, che la discussione sulla conservazione di ciò che è stato già trovato non venga spento dall’ennesima ondata di indifferenza. Il segnale che arriva da Roma è assolutamente serio… se i cinturoni trovati a Scalareta negli anni Trenta e da noi consegnati alle Belle Arti (tanto il professore Mustilli ci scrive un pregevole saggio) poi passano all’ingordo (si, nel senso buono) collezionista c’è qualcosa che non funziona!
LA MIA PROPOSTA. Un’iniziativa concreta sul tema va assunta dalle istituzioni sulla consistenza e le condizioni di conservazione del nostro patrimonio archeologico è sempre più urgente. Vanno evitate altre sparizioni e ci dobbiamo rendere conto di come ottenere il “rimpatrio” di ciò che oggi nella migliore delle situazioni è disperso nel buio di alcuni sotterranei dove sono allocati i depositi di alcuni musei. Sulle tombe trovate al Feo (zona Madonna della Neve, Carillia) ne ha scritto in passato Nadia Parlante e non era affatto azzardato il paragone con il Tuffatore. Vogliamo o no farcele restituire allocandole in luogo opportuno? All’inizio degli anni Ottanta sembrava essersi aperto un periodo “buono” con studiosi prestigiosi (Paolo Peduto e Werner Johannovski) e un sindaco che ci credeva e li sosteneva per davvero (Rosario Gallo). Poi sono seguite tante chiacchiere e fumo, per finire a oggi dove non è sopravvissuta nemmeno la cartellonistica che indica dove sono i principali siti d’interesse archeologico. Non va affatto bene! La nostra storia passata e recente non va messa così nel dimenticatoio e, forse, ci è stata anche già rubata! Mi piacerebbe sapere dove è quell’anfora a cannelures, reperto di San Lorenzo, decorata a bande rosso brune e che serviva per contenere l’olio sacro. Dopo essere stata esposta nella mostra internazionale dedicata ai Normanni dove è stata riposta? Perchè non può essere ammirata ad Altavilla? Consegno anche queste mie considerazioni - sfogo alle giovani amministratrici del mio comune. Augurandomi che l’archeologa (Giovanna Di Matteo) e l’esperta di europrogettazione (Katja Taurone) trasformino i miei borbottii tipici del vecchio zio un po’ fissato in un’altra delle linee di potenziale sviluppo moderno di questo nostro paese. Che si cominci, almeno con il rimettere in funzione la vecchia cartellonistica!

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